Stare dentro o rimanere fuori? Questo è il dilemma di ogni soggetto che vorrebbe sovvertire l’esistente laddove l’avversario domina incontrastato. C’è chi decide per l’opzione migliorista, correndo il rischio di restare con un pugno di mosche in mano, e chi invece si rifiuta di stare al gioco, preferendo agire di contrasto ma in splendido isolamento. Entrambe le posizioni sono legittime. Ma per chi sceglie il compromesso la domanda è: che senso ha rivendicare pratiche sostenibili per un nuovo modello di sviluppo accettando la logica di un grande evento come l’Expo dominato dalle multinazionali che determinano il sistema agroalimentare? In un mondo squilibrato dove quasi tre milioni di bambini ogni anno muoiono per patologie legate alla malnutrizione (fonte Unicef). La fame.

Questa è la contraddizione ineludibile per le quasi cento associazioni del terzo settore che hanno accettato di lavorare dentro l’Expo per i prossimi sei mesi. Il luogo della sfida si chiama Cascina Triulza ed è senza dubbio il più accogliente. Inutile negare che per gli altermondialisti e per la sinistra diffusa quella fetta di territorio (7.900 metri quadri) diventerà il luogo dove pascolare buone idee e buone pratiche contro la logica del grande evento travestito da fiera per nutrire il pianeta. Cappuccetto Rosso di fronte a McDonald’s, Nestlé, Coca Cola e Monsanto. Il presidente della Fondazione Triulza, Sergio Silvotti, è convinto che sia strategico non sottrarsi e partecipare. «La nostra posizione è sempre stata chiara – spiega – perché noi siamo nettamente contrari al modello di sviluppo imposto dalle multinazionali dell’alimentazione. Possiamo ribadirlo stando fuori o stando dentro. Abbiamo pensato che giocando questa partita avremmo potuto stabilire alleanze con quei soggetti che sono sul mercato pur essendo penalizzati proprio da quelle multinazionali. Mi riferisco a un piccolo produttore di vino o a un contadino che produce biologico. Con queste strutture ancorate nei territori il terzo settore può stabilire rapporti destinati a durare nel tempo, ecco la nostra scommessa».

La location è lussuosa. L’obiettivo ambizioso: esistere, o meglio resistere, oltre il 31 ottobre. L’hanno chiamato Padiglione della Società Civile. Per alcuni quello è il fiore all’occhiello dell’esposizione universale, per altri invece è solo la foglia di fico. Per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia è una boccata d’ossigeno, un premio di consolazione. Di più. «È un sogno realizzato, un gioiello che arricchisce e arricchirà Milano. Perché Cascina Triulza guarda già oltre Expo per continuare un cammino che sarà prezioso per tutta la città. Come ho sempre detto, infatti, il Comune di Milano è impegnato a mantenere quanto è stato ipotizzato fin dall’inizio: la sua destinazione futura al terzo settore, è tanta la strada che dobbiamo fare insieme». Anche se il futuro di Cascina Triulza non è ancora stato scritto. Si capirà in autunno se la promessa verrà mantenuta.

Si tratta di una cascina, citata per la prima volta in un documento del 1346, completamente ristrutturata e gestita dalla Fondazione Triulza, un raggruppamento di diverse organizzazioni selezionate con un bando di gara. In quel luogo, oltre al terzo settore, troveranno spazio anche aziende certificate, istituzioni pubbliche e organizzazioni internazionali. Tutte le realtà avranno a disposizione un’area espositiva per organizzare eventi, compreso un auditorium con 200 posti a sedere e uno spazio destinato ai laboratori per i bambini. Nella corte (1.700 metri quadrati) si terranno spettacoli e animazioni. In sei mesi sono previsti 750 eventi. L’area diventerà un grande mercato con oltre duecento produttori locali provenienti da tutta l’Italia. Il primo appuntamento, tanto per dare l’idea, si terrà sabato 2 maggio: Vandana Shiva presenta il manifesto internazionale “Terra Viva”, un documento per superare il paradigma dell’economia lineare a vantaggio di un sistema che privilegia l’economia circolare, cioè la sostenibilità delle produzioni agricole, la salvaguardia dei territori e la tutela delle vite dei contadini che vivono nei paesi più svantaggiati.
Tutto ciò ha un costo. Chi paga? La Fondazione Triulza ha fatto vedere i conti. Il budget è di 3 milioni 481.000 euro: 1.070.00 arrivano dagli espositori, 1.309.000 dagli sponsor, 850.000 dalle organizzazioni che partecipano al mercato e 250.000 da «altre fonti». In cassa sono rimasti circa 97 mila euro, quindi il budget complessivo è in pareggio. Chi sponsorizza? Il presidente di Fondazione Triulza non si nasconde. «Abbiamo un codice di valore etico e abbiamo chiesto di sottoscriverlo a tutti i nostri sponsor – spiega Silvotti – ne abbiamo rifiutati alcuni, siamo stati avvicinati anche da aziende che producono armi. Non abbiamo fatto sconti a nessuno». A rimpinguare le casse, diverse aziende produttrici di cibo o servizi di ristorazione e associazioni o gruppi come Fondazione Cariplo, Acli, Arci, Casa della Carità, Coop Lombardia, Legambiente.

Per far funzionare un’organizzazione così complessa è necessario l’impiego di forza lavoro. Ecco l’altra grande contraddizione dell’Expo 2015, l’esperimento più avanzato di sfruttamento di manodopera attraverso il lavoro volontario. Quante persone lavoreranno in Cascina Triulza? «Lavoreranno circa 50 ragazzi presi dal servizio civile – dice il presidente – per cui un piccolo compenso lo riceveranno. In più, per sei mesi, collaboreranno con noi 10 dottorandi di ricerca con competenze diverse. La loro funzione sarà studiare e raccontare quello che vedono e ciò che succede in quel luogo, l’esperienza servirà anche per impostare il futuro di Cascina Triulza, ci teniamo a durare ben oltre il 31 ottobre 2015».

Ma il dopo Expo, al di là delle buone intenzioni, potrebbe anche riservare brutte sorprese. Per restare sul tema dell’alimentazione il percorso è già stato tracciato. A ottobre, con la convocazione degli stati generali, l’obiettivo è stilare un’agenda di azioni concrete da realizzare su alcune questioni precise, tra cui «la sovranità alimentare, lo sviluppo della capacità di resilienza delle agricolture locali, il ruolo del commercio e della finanza per garantire il diritto al cibo, il ruolo della donna nell’agricoltura e nell’alimentazione». Ma il punto è un altro. Davvero, una volta spente le luci e smontata la baracca più kitsch che sia mai stata montata in Italia, Cascina Triulza rimarrà nelle mani delle associazioni che l’hanno gestita? Sei mesi passano in fretta, ma in politica possono anche essere un’eternità. L’Expo terminerà in piena campagna elettorale, e l’area della Cascina Triulza in questo momento non appartiene ancora al Comune di Milano ma alla società Arexpo Spa (Comune di Milano, Regione Lombardia e Fondazione Fiera). Questo è l’elemento di più forte criticità. «Fino ad ora – spiega Silvotti – tutti stanno ragionando sull’area Rho-Pero come se fosse un luogo dove posizionare questo o quello, chi dice uno stadio, chi un polo universitario. Nessuno ancora ragiona sul fatto che quel sito dovrebbe mantenere le caratteristiche per cui è stato pensato in questi anni, quindi dovrebbe diventare un presidio internazionale per la diffusione di pratiche sostenibili legate al tema del cibo. Questa è la scommessa di Cascina Triulza. Ma il futuro è incerto, non è ancora detto che ci riusciremo. Di sicuro faremo di tutto per raggiungere l’obiettivo».