Sul computer portatile di Giulio Regeni si potrebbe incrinare la “perfetta collaborazione” tra le autorità egiziane e quelle italiane descritta ieri dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova nel rispondere alle interpellanze dei deputati in commissione Esteri alla Camera.

Infatti il pc del giovane ricercatore friulano, che la polizia e i magistrati egiziani avevano cercato inutilmente nella sua abitazione al Cairo insieme al telefonino tutt’ora scomparso, sarebbe invece nelle mani degli inquirenti italiani. Sarebbe stata la stessa famiglia Regeni a consegnarlo alla procura di Roma, che ieri tra l’altro ha ricevuto anche la prima informativa dagli uomini del Ros e dello Sco inviati al Cairo per indagare direttamente sull’omicidio.

Ma secondo quanto riportato dal quotidiano egiziano al-Masry al-Youm, la procura del sud di Giza, quella che comunque per prima ha parlato di segni di tortura sul corpo di Giulio, starebbe valutando la «possibilità di richiedere alle autorità italiane la restituzione del computer portatile del ragazzo». Senza quel computer, i magistrati di Giza sostengono di incontrare «difficoltà» nel proseguire le indagini.

E qualche difficoltà – questa volta squisitamente politica – sembra averla incontrata anche il governo italiano, almeno a giudicare dalla «ricostruzione dettagliata della dolorosa vicenda di Giulio Regeni e dell’azione del Governo e della nostra Ambasciata al Cairo per assicurare che sia fatta giustizia» che il sottosegretario Della Vedova ha offerto ieri. C’è infatti in quel documento almeno un buco di sette giorni, un salto dal 25 al 31 gennaio, periodo rimasto oscuro anche agli occhi dell’esecutivo italiano che non ha contezza (o non vuole riferirne) delle azioni adottate dalle autorità egiziane, «immediatamente» allertate e «sensibilizzate» della scomparsa del giovane ricercatore, e soprattutto dei motivi per i quali si è preferito non diffondere la notizia della scomparsa. Una ricostruzione politica che liscia il pelo alle istituzioni egiziane limitandosi a riportare le tante rassicurazioni di collaborazione ricevute.

Riferisce Della Vedova che la nostra ambasciata al Cairo era stata avvisata della scomparsa di Giulio la sera stessa del 25 gennaio «tra le 22.30 e le 23», allertata dal professore Gennaro Gervasio, collega di Regeni all’American University e amico, che lo aveva invano aspettato in un ristorante del Cairo dove avevano appuntamento. Nell’ultima telefonata con Gervasio, «verso le 19:40», Regeni «gli aveva spiegato che sarebbe uscito di casa verso le 20:00», avrebbe preso la metropolitana fino alla fermata Mahamed Naguib, nei pressi di Piazza Tahrir, e da qui «avrebbe proseguito a piedi fino al ristorante».

«Gervasio ha riferito all’Ambasciata di avere ripetutamente provato a chiamare Giulio tra le 20:18 e le 20:23, senza ottenere risposta; a partire dalle 20:25, invece, il cellulare del ragazzo risulta spento», riferisce ancora Della Vedova. (Va detto per inciso che secondo il quotidiano Al-Masry al-Youm, la procura di Gizia avrebbe appurato che quel cellulare non è mai uscito dal quartiere dove Giulio viveva). «Nelle ore immediatamente successive alla scomparsa – prosegue invece Della Vedova – l’ambasciatore Maurizio Massari ha sensibilizzato il Ministro dell’Interno egiziano» ottenendo rassicurazioni «che sarebbero stati effettuati tutti gli sforzi necessari per trovare il connazionale».

«La solerzia dell’ambasciata è un elemento dovuto» perché, spiega il sottosegretario, «chi sta al Cairo o in altre città complicate sa che non sta a New York»; dunque, «è palesemente senza fondamento» la congettura che Giulio fosse un informatore dei servizi italiani. Inoltre, «la Polizia e l’intelligence militare hanno escluso che Regeni fosse stato fermato o arrestato. In quei giorni infatti si è diffusa la notizia del fermo di uno straniero, risultato poi un cittadino americano rilasciato dalle Autorità locali». E «anche la ricerca presso gli ospedali del Cairo non ha dato alcun esito». Tutto sotto controllo, dunque.

Da qui, nel resoconto del sottosegretario, si passa però a domenica 31 gennaio, quando «lo stesso Ministro Gentiloni ha chiamato personalmente al telefono l’omologo egiziano Shoukry» per esprimere «la forte preoccupazione del Governo italiano». Ma i coniugi Regeni, giunti al Cairo il giorno prima, chiedono alla stampa «di mantenere il riserbo sulla vicenda del figlio». È per questo, sostiene il governo italiano, che l’azione della Farnesina prosegue nel silenzio stampa.

D’altronde, il ministro dell’Interno egiziano incontrando il 2 febbraio l’ambasciatore italiano, il giorno prima del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, «ha assicurato che le indagini erano in corso e che tutte le informazioni raccolte dai servizi di intelligence egiziani, che hanno una consolidata esperienza nella localizzazione di persone, sarebbero state condivise con l’Ambasciata». Il resto è noto.