A poco di più di due settimane dall’elezione tellurica che ha fatto precipitare la leadership del partito laburista nel grembo di Jeremy Corbyn, si è aperto ieri a Brighton l’annuale congresso del partito. Si concluderà mercoledì.

Due settimane in cui gli oooh e aaah della stampa liberal-moderata, nazionale e non, hanno continuato a scatenarsi ogniqualvolta l’eterodossia del Corbyn-pensiero sullo status britannico di potenza monarchico-costituzionale nuclearizzata superava il livello di guardia. E bisogna ammettere, felicemente, che lo supera spesso.

Al momento sono quattro i temi più urgenti da far abiurare a questo eretico elevato al soglio laburista, la cui rottura con i deputati del Parliamentary Labour Party è pressoché insanabile: il primo è la sostituzione-rinnovo del sistema missilistico Trident, alla quale il pacifista Corbyn si è sempre dichiarato contrario.

E qui in disaccordo col segretario non è solo con l’ancora intontita ala centrista del partito, ma anche, visto il contributo preponderante dell’industria bellica all’economia nazionale, con due importanti sindacati come Unite e il GMB, contrari entrambi all’abbandono del programma nucleare per la ricaduta che questo avrebbe a livello occupazionale. Trident non sarà comunque dibattuto in questo congresso e il segretario lascerà i propri deputati liberi di votare in aula secondo coscienza.

Il secondo è la vexatissima quaestio dell’appartenenza all’Ue. Se nella precedente gestione centrista il filoeuropeismo del partito laburista non è mai stato in discussione, Corbyn ha avuto in passato posizioni moderatamente euroscettiche. Questo ha portato a forti palpitazioni, fin quando il leader non si è premurato di rassicurare tutti che il partito continuerà a sostenere la permanenza nell’unione.

Lunedì i delegati voteranno se fissare o meno una conferenza straordinaria qualora le contrattazioni di David Cameron a Bruxelles – su cui il premier intende cementare la campagna per non lasciare l’Europa – abbiano ricadute negative sui diritti dei lavoratori britannici tali da rinforzare l’euroscetticismo nel partito.

Il welfare: Corbyn ha costruito la sua vittoria su una piattaforma indiscutibilmente antiausterity, che si oppone ai tagli ai sussidi senza se e senza ma: che invece abbondano nella posizione del suo ministro ombra del lavoro Owen Smith, che agli stessi tagli si è detto non del tutto contrario.

C’è poi la questione siriana, che sarà affrontata da un’assemblea presieduta dal segretario forse più pacifista che il Labour Party abbia mai avuto. Il “Guardian” sostiene che al congresso ci sarà la possibilità di votare sulla linea da tenere rispetto ai bombardamenti anti-Isis in Siria, intervento che i francesi hanno appena effettuato, che Cameron scalpita per farsi approvare e contro il quale già Ed Miliband aveva votato mesi fa.

Ma quello che ancora salta agli occhi, condiviso da pressoché tutti gli osservatori, è l’aria del tutto diversa che si respira a questo congresso. Come quelli degli altri partiti di regime, i congressi Labour sono diventati sempre più delle kermesse spettacolar-pubblicitarie all’americana, dove la linea della leadership viene somministrata per bocca alla dissidenza in mezzo a sorrisi fluorescenti e fanfare indie rock e nel nome di una facciata unitaria con cui sfondare i dubbi dei dissenzienti interni e il cinismo dell’elettorato in generale.

Questa volta non sarà così. Corbyn, il persuasore anti-autocrate, intende riportare il congresso a quello che era: un luogo di dibattito, dove ascoltare tutte le diverse anime del partito. Compresa naturalmente la minoranza, di cui è stato un integerrimo corifeo per trent’anni e i cui principi molti temono abbandonerà pur di non spaventare ulteriormente l’elettorato moderato.