Per Renzi la giornata dell’attesa della sentenza della Consulta è un tiro mancino della sorte. Un vero contrappasso per l’ex enfant prodige («il fenomeno» lo chiamavano al Nazareno, non tutti amichevolmente) che all’inizio della sua parabola politica, quando la fortuna gli sorrideva e il vento della storia gli soffiava in faccia, sfotteva i «professoroni» e prometteva sfracelli. «Si può essere in disaccordo con i professoroni o presunti tali, con i professionisti dell’appello, senza diventare anticostituzionali. Perché, se uno non la pensa come loro, lo accusano di violare la Costituzione o attentare alla democrazia? Io ho giurato sulla Costituzione, non su Rodotà o Zagrebelsky», dichiarava al Corriere della Sera nel marzo del ’14.

Oggi Renzi è appeso alla sentenza della Consulta, la quint’essenza dei «professoroni» che lui ha sfidato, perdendo. Peggio: Renzi ora confida nei giudici, spera che gli consegnino una legge che gli dia l’ultima chance, la possibilità di riaprire il tavolo di trattativa con Berlusconi.

Ieri il segretario del Pd ha trascorso la giornata al Nazareno fra incontri, telefonate, e un pranzo con i più fidati della «resistenza renziana». Prepara la rentrée del 28 gennaio a Rimini alla Leopolda degli amministratori locali. L’ora X è alle 18. In serata batte un colpo su facebook dopo la notizia dell’indagine sulla sindaca Raggi. «Invito tutto il Pd a rispettare la presunzione di innocenza e non rincorrere le polemiche», scrive, e se la tentazione dei suoi è di inchiodare i 5 stelle al loro garantismo della domenica, il segretario stoppa: «Se loro sbagliano, dobbiamo sbagliare anche noi? Dimostriamo che siamo davvero diversi».

È un Renzi cauto come mai. Un Renzi appeso alla sentenza sulla legge elettorale che è in realtà il verdetto sul suo destino politico. Viene rinviata ad oggi: adda passà un’altra nuttata. Nel palazzo del Nazareno – dove mai si è sentito a suo agio, ha raccontato lui stesso -, come in una tragedia shakespeariana, vede ovunque trappole e congiure.

I funzionari della «resistenza renziana» parlano con sarcasmo dell’«asse dei Fob», Franceschini-Orlando-Bersani, i presunti triumviri sospettati di voler mandare la legislatura per le lunghe e logorare il segretario. Al Nazareno si ragiona sul fatto che se si scavalla la data dell’11 giugno, la preferita di Renzi per il voto, la legislatura rischia di arrivare alla sua scadenza naturale, febbraio ’18. Ma per votare a giugno le camere vanno sciolte entro il 25 aprile. Per quella data il Pd dovrebbe trovare una quadra prima al proprio interno e poi con Forza Italia quantomeno per «l’armonizzazione delle due leggi elettorali di Camera e Senato» che il presidente Mattarella considera «condizione indispensabile per le elezioni».
«Basterebbero tre settimane», dice. Ma con mezzo Pd che rallenta fingendo di non farlo e Forza Italia che invece frena esplicitamente, sembra impossibile. «L’unica cosa che interessa a Berlusconi sono le liste bloccate e la cancellazione delle preferenze, solo su questo possiamo portarlo a ragionare per andare al voto», ragionava ieri un deputato renziano in un Transatlantico affollatissimo da cronisti pronti al grande evento e deputati in attesa del verdetto dei giudici. Capannelli separati anche fra i dem: frenatori da una parte, acceleratori dall’altra, argomento unico di conversazione la ridda delle ipotesi. Chi accelera è sicuro che sarà «autoapplicativa», chi frena pensa a come attrezzare Gentiloni alla lunga traversata del ’17, fino alla legge di bilancio dell’autunno, quella che si presenta come «lacrime e sangue»: che in ogni caso saranno messe sul conto del Pd di Renzi. C’è chi spiega: «Allora meglio votare prima, meglio che sia un governo che non deve poi subito andare al voto a far bere ai cittadini l’amaro calice dei tagli».

E qui, come in un gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza: la legge elettorale. Berlusconi vuole il proporzionale. «Maggioritario tutta la vita», replica Matteo Richetti nel programma di Bianca Berlinguer su Raitre. Il Mattarellum è la legge di bandiera anche di Renzi – oggi che l’Italicum non è più «la legge che tutti ci copieranno» – ma sa che presto dovrà ammainarla in nome del realismo. Infatti una settimana fa, in un incontro a porte chiuse con i segretari regionali, ha messo in guardia tutti a serrare i ranghi per attrezzarsi alla nuova legge: «Dovremo organizzare ancora meglio il partito perché avrà più importanza». Non resta che aspettare oggi il verdetto. Comunque vada, per Renzi sarà una sconfitta, perlomeno una «non vittoria».