«Da quando ho incontrato la prima volta Grillo sapevo che il nostro matrimonio sarebbe durato poco, ma non pensavo così poco». Con queste parole ha esordito ieri Nigel Farage, leader dell’Ukip e presidente di Effd al parlamento europeo, nel corso della riunione del gruppo che pareva dovesse sfaldarsi a causa della defezione del Movimento 5 Stelle e che invece è rimasto integro dopo che i liberali di Alde hanno sbattuto la porta in faccia a Beppe Grillo. La metafora nuziale è servita anche a dettare le condizioni: «I matrimoni finiscono – ha detto ancora Farage – Ma si possono anche ristabilire. Sempre se chi ha tradito paghi».

Prima c’era stata la telefonata tra Nigel Farage, Beppe Grillo e Davide Casaleggio, avvenuta in modalità conference call, in modo che altri potessero ascoltare. Lo scambio tra Grillo e Farage ha avuto anche toni «ironici». Tutt’altro che umoristiche le conseguenze della riappacificazione forzata tra i grillini e l’Effd. I primi sanno bene di non avere scampo: tornare tra le braccia di Nigel Farage rinunciando alla loro autonomia per sfuggire al gruppo dei non iscritti, che a Bruxelles e Strasburgo hanno poco più che un diritto di tribuna e soprattutto pochi finanziamenti. I diciassette parlamentari del Movimento 5 Stelle avrebbero perso almeno 700 mila euro.

Tra le righe del comunicato diramato da Farage nel pomeriggio si leggono le condizioni poste per la riconciliazione. «Sono felice di dire che qualsiasi differenza tra il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e me sono state risolte in maniera amichevole – afferma Farage – Dopo alcuni cambiamenti amministrativi la settimana prossima a Strasburgo continueremo il nostro lavoro insieme nel gruppo Efdd». Ecco la prima bordata, che si riferisce alla ridefinizioni di alcune posizioni nel gruppo. Poi il leader dell’Ukip annuncia che «la campagna di Beppe Grillo per un referendum sull’appartenenza dell’Italia all’eurozona sta crescendo». Rispunta la campagna che Grillo e i suoi provarono ad imbastire due anni fa e che lentamente sparì dai radar. «Ammiro da tempo il lavoro di Grillo in Italia – prosegue sornione Farage – Gli auguro di avere fortuna. La campagna antiestablishment in Europa è appena agli inizi».

Oltre ad appioppare al M5S il referendum (peraltro incompatibile con i dettami costituzionali) sull’euro, l’accordo più prosaicamente prevede che David Borrelli, colui il quale ha gestito il tentato passaggio dei grillini ad Alde, venga rimosso dal ruolo di copresidente del gruppo. Inoltre, il leader Ukip avrebbe chiesto la testa del funzionario del Movimento 5 Stelle che ha partecipato alla trattativa coi liberali europeisti di Alde. Delle rocambolesche vicende di questi giorni fa le spese anche Fabio Massimo Castaldo, che non sarà più candidato alla vicepresidenza del parlamento Ue. Anche il suo collega Piernicola Pedicini, che doveva essere il candidato del gruppo alla presidenza del Parlamento, ha fatto un passo indietro.

Come se non bastasse, il M5S separato in casa con lo Ukip potrebbe perdere il coordinamento delle attività del gruppo nelle commissioni europarlamentari Envi (che si occupa di ambiente) e Libe (che lavora attorno a giustizia, diritti civili e immigrazione). Cioè le due aree di intervento sulle quali in questi due anni si sono registrate le maggiori dissonanze tra gli esponenti Ukip e i parlamentari del Movimento 5 Stelle.

In mattinata, alla riunione del gruppo pentastellato non erano presenti tutti gli italiani. C’era Dario Tamburrano che è praticamente l’unico grillino a esternare su Facebook: «Hanno preparato un accordo schifoso sulla testa della maggioranza di noi portavoce (di chi?)», scrive Tamburrano. I delusi dal ribaltone e contro ribaltone ce l’hanno più con Davide Casaleggio che con Beppe Grillo. Il primo ieri non si è presentato a Roma, dove avrebbe dovuto presenziare al lavoro sui tavoli tecnici del programma M5S.

Si vocifera che alcuni, tra i parlamentari europei stiano valutando l’ipotesi estrema di lasciare il Movimento. Per i membri del gruppo che intendano cambiare casacca è prevista una penale di 250 mila euro. Ma, come per il contratto firmato dai consiglieri comunali romani, in pochi credono che un documento del genere venga ritenuto giuridicamente vincolante.