Hacker in a hood on dark blue digital background

La sociologia è uno dei saperi più dinamici tra le scienze umane. Il suo oggetto è infatti il presente, le sue strutture, le sue trasformazioni. Oggetto privilegiato, poi, sono gli strumenti che i singoli e le collettività utilizzano nella loro quotidiana esistenza. Tra questi, il computer e la Rete sono oggi fondamentali per varie ragioni.

La prima è che il computer non è un semplice strumento ma la sua funzione è carica di presupposti e di conseguenze, anche teoriche, riguardanti lo stesso modo in cui le menti agiscono ed entrano in relazione tra di loro. Una seconda è l’esistenza di ciò che viene definito con l’espressione big data, un insieme di informazioni caratterizzate dalle tre v: volume (quantità dei dati), velocità di trasmissione, varietà di contenuti.

Una terza – e fondamentale ragione – è che le relazioni sociali sono ormai intrise di tecnologie, sin nelle loro componenti più intime. I più noti social network – Facebook soprattutto – accumulano una mole sterminata di dati, i quali vengono utilizzati per ragioni commerciali ma anche politiche. L’intreccio di aspetti tecnologici, collettivi ed emotivi è talmente forte da rendere necessario un rinnovamento delle metodologie sociologiche che utilizzi il computer come macroscopio, secondo l’efficace metafora che dà titolo al libro di Davide Bennato Il computer come macroscopio. Big data e approccio computazionale per comprendere i cambiamenti sociali e culturali (Franco Angeli, pp. 145, euro 18). Macroscopio significa che «il computer (è uno) strumento in grado di visualizzare fenomeni sociali e culturali molto diversi per quanto riguarda la dimensione di scala ed estensione nello spazio».

Non si tratta di sostituire l’immaginazione sociologica con una serie di report computazionali, ma di promuovere e praticare «una nuova alleanza fra gli strumenti concettuali delle scienze sociali e le opportunità permesse dagli strumenti computazionali».
È a questo che ci si riferisce con l’espressione computational social science. Il libro spiega assai bene – soprattutto nel terzo capitolo – che cosa ciò significhi. È indubbio che le grandi corporations e i più diffusi social network utilizzino di fatto gli utenti come cavie non soltanto per scopi commerciali ma anche e sempre più per obiettivi di ricerca, per prevedere il successo o il fallimento di investimenti finanziari, programmi sociali, elezioni politiche. E tutto questo senza che gli utenti ne siano a conoscenza. Jeffrey Hammerbacher, un ricercatore dimessosi da Facebook dopo soli due anni di lavoro in quell’azienda, ha scritto di aver «visto le migliori menti della mia generazione scervellarsi per far cliccare la gente sugli annunci pubblicitari. Questo fa schifo».

I social media sono diventati parte del nostro stesso corpo, non soltanto delle nostre azioni. Pertanto – osserva giustamente Bennato – i protocolli sperimentali e di ricerca che riguardano questi strumenti «devono essere rigidi alla stregua dei protocolli utilizzati per la ricerca farmaceutica». Come sempre, i problemi umani non sono riducibili a questioni di teoria, di scienza e di tecnologie ma sono questioni pervasivamente politiche «di valori, quindi di persone. Ed è bene non dimenticarlo anche quando si analizza un database».