Non fila per niente liscia la manovra del governo, e ieri il caos si è scatenato intorno al decreto fiscale (quello che contiene la «rottamazione» delle cartelle Equitalia e la chiusura dell’agenzia):era atteso in Aula alla Camera per l’approvazione, ma invece è dovuto tornare in Commissione Bilancio. Tra le norme approvate, infatti, due non avrebbero la necessaria copertura.

L’alt è arrivato dalla Ragioneria generale dello Stato e riguarda in particolare due misure: il regime dei minimi e l’F24. Se nel secondo caso sul tavolo c’è una cifra relativamente piccola, 5 milioni di euro, nel primo la questione delle risorse è più consistente: 30 milioni nel 2017 e 80 milioni nel 2018. Si tratta della deroga di due anni al regime dei minimi per chi eccede la soglia del forfait per importi fino a 15 mila euro: un passo a favore di autonomi e partite Iva, ma che evidentemente non è stato soppesato adeguatamente.

L’ulteriore passaggio alla Bilancio rischia di far slittare i tempi dell’approvazione: il via libera al testo, su cui è prevista la richiesta di fiducia, era atteso già per oggi. Una delle possibilità ventilate ieri, proprio per evitare ulteriori rinvii e avere l’approvazione già domani, sarebbe quella di stralciare le due misure per poi reinserirle nel ddl Bilancio: «Vediamo cosa si deciderà – ha detto il capogruppo di Ap in Commissione e relatore al decreto, Paolo Tancredi – Come Ap andremo avanti affinché la norma venga comunque approvata, nel caso proponendo di inserirla nella legge di Bilancio».

La misura più discussa, quella sui minimi, prevede «la possibilità di sforare per due volte non consecutive nel quinquennio, per un massimo di 15 mila euro, la propria soglia limite pagando il 27% sul reddito eccedente», spiega Raffaele Vignali, uno dei firmatari della proposta. Il che causa «sicuramente minori entrate, che vengono però – osserva – più che bilanciate dalle nuove».

Superato lo scoglio del dl fiscale, che comunque poi passerà all’esame del Senato per la seconda lettura, sarà la vera e propria manovra a giocare il ruolo da protagonista. E qui i paletti fissati dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, sono netti: per la legge di Bilancio, a cui sono stati presentati 5 mila emendamenti, «chiederò che ogni riformulazione che abbia una spesa sia firmata dalla Ragioneria. Non inizio la discussione sulle riformulazioni se non c’è chiarezza ex ante sulle coperture».

Un passaggio, che insieme ai ritardi accumulati a causa dell’esame del decreto fiscale e alla mole degli emendamenti, fa però immaginare un allungamento dei tempi: appare infatti sempre più difficile che il primo esame in Parlamento della manovra possa chiudersi entro l’ultimo weekend di novembre. «È una corsa contro il tempo – dice sempre Boccia – e se escludo che si possa andare oltre il 4 dicembre (vale a dire la data del referendum, ndr), che si possa slittare di un giorno» può sempre succedere.

Tra i nuovi emendamenti alla manovra, rispunta uno presentato da Ap per il Ponte sullo Stretto (dovrebbe essere dichiarato «infrastruttura prioritaria»), mentre il Pd chiede sgravi contributivi per le nuove assunzioni nel Sud.

Il Pd propone anche uno sblocco dei limiti del turnover negli enti locali: fino al 50% nel 2016 e 2017 e al 75% dal 2018 (la soglia di rimpiazzi autorizzata fino a oggi è del 25%). Tra le proposte, quella di trasformare i cococo di ministeri, enti locali e ricerca in contratti a tempo determinato.