Paragone fra civiltà, agonia dell’occidente e agone della Germania. Metodo, destino e compito della ricerca di Spengler dentro e intorno alla sua opera principale: Il tramonto dell’occidente. Di due figure di riferimento di questo libro, dei prodromi e del processo che lo caratterizzano anche al cospetto di altri scritti di Spengler si occupa Francesco Gagliardi, Il tramonto di Faust. Oswald Spengler fra Goethe e Nietzsche (Aguaplano, pp. 264, euro 20).

Seguendo Gagliardi nella sua ricognizione di prima mano (tutta condotta sul tedesco dell’autore), si evince il modo in cui, sin dalla tesi di dottorato del 1904 dedicata a Eraclito, Spengler faccia propria un’idea morfologica e evoluzionistica della vita delle civiltà. Per Spengler, nel processo metamorfico delle culture è cruciale il passaggio dalla Kultur alla Zivilisation.

Allo stadio della Zivilisation appartiene il tramonto di una civiltà, ma anche la dispersione all’esterno di tutte le sue forze più significative, quelle che in origine avevano costituito l’alba della sua Kultur. Tale concezione ciclico-vitalistica che comporta il rifiuto di un’unica lineare progressività della storia e la conseguente accettazione della relatività delle culture non significa però in Spengler il venir meno dell’idea dell’appuntamento storico di una cultura specifica con il destino universale delle civiltà.

Proprio attraverso l’idea del destino epocale di una cultura Spengler cerca di ridare all’occidente e in particolar modo alla Germania una centralità che non avrebbero più potuto avere con il vecchio storicismo progressivo e progressista. E come in molta altra letteratura storica e politica otto-novecentesca, anche nel Tramonto dell’occidente a un certo punto si sente risuonare una parola d’ordine: il destino dei tedeschi per la Germania e l’occidente.

Segnato soprattutto dalla forma che Spengler chiama «socialismo prussiano» e ultima incarnazione occidentale, il popolo tedesco deveassumersi un compito: «die eigentliche Mission der Deutschen als der Deutschen als der letzten Nation des Abendlandes».
Spengler serra le fila di una tradizione di studi che, pur presentandosi già alternativi allo storicismo, avevano mantenuto un’ottica non nazionale, universale, umanistica nel riflettere sulle civiltà. Come avevano fatto Goethe e Nietzsche che non avevano abbandonato una prospettiva globale o quantomeno aperta, libera da destini civilizzatori ineluttabili. E proprio con Goethe e Nietzsche, come mostra il libro di Gagliardi, Spengler ingaggia il confronto fondamentale per le sue tesi. Spengler impugna e neutralizza le idee del poeta e del filosofo e le innesta a un certo tipo di nazionalismo, all’inscindibilità del destino della Germania con quello dell’occidente – idea che molti faranno propria fino alla fine della seconda guerra mondiale. E gli spettri di una Germania über alles, a torto o a ragione, forse non a caso vengono agitati anche in questi mesi di scontro fra le diverse realtà europee che sembrano spingere con forza verso le identità nazionali per stabilire quale di queste identità sia la più degna interprete della civiltà e dell’occidente.

Le affinità morfologiche, quali quelle che compaiono negli arditi paragoni fra civiltà dell’antichità e della modernità fatte da Spengler, possono condurre a risultati diversi da quelli che lo stesso autore argomenta. Individuare similarità tra periodi non vuol dire necessariamente predeterminare il destino di un’epoca come invece è quasi costretta a fare la prospettiva apocalittica del Tramonto dell’occidente. Ed è forse anche a causa di questa prospettiva che lo storicismo teleologico che Spengler caccia dalla porta, in parte rientra dalla finestra e in una forma non meno ingenua o ideologica rispetto a quella che secondo l’autore caratterizzerebbe Hegel o Marx. In fondo, è in ragione del suo rinnovato profetismo teleologico che Il tramonto dell’occidente ha salato il sangue a generazioni di intellettuali fra loro molto diversi, ma tutti in qualche modo in competizione nello stabilire nuovi paradigmi messianici della storia e delle civiltà. Si pensi ad esempio a Jünger, Schmitt, Benjamin, Heidegger.

Al di là della rinnovata idea morfologica e evoluzionistica delle civiltà, già presente in Vico prima che in Goethe, il portato del Tramonto di Spengler non sembra tanto scontrarsi con il presunto asettico progressismo della storia, ma con quelle visioni che non abbracciano una nuova versione dell’idea nazionalistica della Germania. Idea che a partire dal romanticismo contrasta con quella umanistica e cosmopolita di una parte della stessa cultura tedesca della quale anche Goethe e Nietzsche fanno parte. Il libro di Gagliardi, inquadrando Spengler proprio fra Goethe e Nietzsche, conduce così a esplorare un paradigma più ampio e complesso che agisce nella cultura tedesca e europea in modi e con ruoli non sempre definiti e uniformi. Come non sono definiti e uniformi il Faust e il Mefistofele di Goethe e lo Zarathustra di Nietzsche, i quali sono anzi personaggi sfaccettati, caleidoscopici, tanto che a tentare di guardarli più da vicino danno facilmente l’impressione di cambiare forma acquisendo significati diversi da quelli che sembrano avere ad un primo sguardo.

Se è vero l’aneddoto che vuole che Spengler abbia portato sempre con sé, e perfino nella bara, libri di Goethe e Nietzsche, forse è anche perché ha tentato fino alla fine di aver ragione del loro universalismo e umanismo. Per Goethe questi tratti universalistici e umanistici sono evidenti, fra gli altri scritti, proprio in uno di quelli che Spengler prediligeva: le Epoche dello spirito. Per Nietzsche, una dimensione universalistica e umanistica benché critica – poi sviluppata da Adorno e Horkheimer nella Dialettica dell’illuminismo – è evidente non solo nello Zarathustra, ma ad esempio anche in Umano, troppo umano e Sull’utilità e il danno della storia per la vita.

La stessa critica alla Zivilisation di Nietzsche non porta alla rifondazione di una Kultur destinale esclusiva dei tedeschi. Inoltre, la contrapposizione tra Zivilisation e Kultur è in Nietzsche spesso antifrastica e parodica. È una contrapposizione stabilita per decostruire sia l’idea della razionalità progressiva sia l’epocalità della storia, il suo supposto appuntamento con il destino dell’occidente.

Per Goethe e Nietzsche il destino, ancorché la decisione perentoria dell’assunzione di una responsabilità epocale, sembra più essere il venire all’atto di ciò che è finalmente possibile nel tempo che non stabilisce più forme, ma le acquisisce per esserne esso stesso trasformato.