La frontiera italo francese di Ventimiglia racconta lo stravagante tentativo di fermare il vento delle migrazioni di massa, lo sforzo degli stati che rifiutano di vedere la realtà per ciò che è: i migranti passano. A decine, centinaia, migliaia. Ogni notte, ogni giorno, lungo vie illuminate dal sole che picchia o dalla luna che attraversa il cielo.

Una forza inimmaginabile li muove e non li piega. E così si organizzazione con cura e precisione, pianificano. E poi tentano.

Il via vai di auto con targa francese inizia alla sei del pomeriggio, in un viale alberato di Ventimiglia, poco distante dal greto del fiume Roja dove bivaccavano fino a poco tempo fa decine di migranti provenienti dall’Africa sub sahariana.

Sono passeur che vivono al di là del confine, guidano anonime auto francesi, quasi tutte familiari che non danno nell’occhio, e il loro rischioso «servizio» ha un nome molto semplice: taxi. Sanno dove si trovano i militari italiani e francesi che pattugliano le strade di montagna che si sviluppano nell’entroterra ligure.

Così inizia nella tarda serata l’abbordaggio, molto discreto, e il mercanteggiamento sul prezzo del passaggio dall’altra parte.

 

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In tre accettano la tariffa richiesta, duecento euro. Si tratta di due sudanesi e un camerunense: i primi sono al secondo tentativo, il terzo si imbarca per la prima volta verso una nuova tappa del lungo viaggio che, prima o poi, li porterà tutti a Londra.

I passeur, di solito membri delle varie comunità, possono offrire vari servizi. Il più semplice, nonché il più caro, è nascondere nel bagagliaio due o tre uomini e attraversare il confine lungo l’autostrada. Ogni automobile fa un solo giro, perché le targhe vengono segnate sia in entrata che in uscita. Oppure i migranti vengono portati ai piedi di alcuni sentieri liberi che nascono sul versante italiano e terminano sulle colline retrostanti Mentone.

Tutto dipende dal prezzo che si è disposti a pagare.

Gendarmi francesi, militari italiani e giornalisti si ammassano intorno al «passo della morte», poco sopra Ventimiglia: sentiero mitico un tempo battuto dai contrabbandieri. Ma i migranti sanno bene ormai che di lì non si passa, e quindi si scelgono vie posizionate nell’entroterra, molte delle quali giungono fino al passo Tenda.

Per Ahmed, Mansour e Mujad il destino passa lungo l’autostrada e la partenza è fissata alle due di notte, in un piazzale della periferia di Ventimiglia dove vengono accompagnati in automobile.

Due hanno appena risalito l’intera penisola per la seconda volta: scoperti mentre tentavano di passare il confine a metà luglio sono stati spostati forzatamente a Taranto. Dopo due settimane tornavano a Ventimiglia, utilizzando un servizio parallelo che dalla città pugliese porta i migranti nella cittadina ligure.

Sono accompagnati solo dalle fidanzate, ma in molti sono quelli che nel cuore della notte sperano e si disperano per questa partenza.

Hanno un sacchetto con del cibo e dell’acqua che dovrà bastar loro fino a Nizza, se ce la faranno.

Sono uomini minuti, giunti a Lampedusa su un barcone dopo un viaggio infernale attraverso l’Africa, prede di schiavisti di ogni qualità. Essere stipati dentro pochi metri quadri e ricoperti di valige vuote per loro è poco più di un gioco. E se saranno scoperti pazienza, perché sanno già che riproveranno altre cento e mille volte: fino a quando ce la faranno.

L’ultimo bacio e abbraccio, poi il legame diventa quello dei telefoni e dei messaggi.

Dalle cinque alle sei del mattino cessano le comunicazioni, fino a quando, appena dopo l’alba giunge una loro foto da oltre Mentone. Sono passati, ce l’hanno fatta. Ma il viaggio è ancora lungo, perché verranno scaricati nella periferia di Nizza dove dovranno prendere un autobus pubblico che li porterà a Marsiglia.

Nel centro di accoglienza di Ventimiglia, dove hanno vissuto per mesi, un piccolo mondo si stringe intorno allo schermo di un telefono che racconta la paura di essere scoperti e la gioia per un altro passo verso la meta.
All’ora di pranzo i tre vengono lasciati a Nizza, dove decidono di dividersi. Forse si rivedranno a Parigi, agognata meta dove pianificheranno il salto verso l’Inghilterra.

Alle quatto del pomeriggio arriva la prima foto di Mansour: si trova a cento chilometri da Marsiglia e ha paura che verrà fermato alla stazione degli autobus.

Degli altri due non ci sono più notizie, probabilmente perché la batteria del loro telefono non ha più energia.

Passano le ore, infinite, e in molti si avvicinano allo schermo che ostinatamente rimane muto. E tutti chiedono dove sono, come stanno, se li hanno scoperti.

Ma tempo e ricordi scivolano via veloci. Per tre che sono passati altrettanti giungono a bussare provenienti da chissà dove: si presentano affamati e con gli occhi pieni di paura, e decisi a provarci anche loro prima o poi.