Ci sono due spiegazioni possibili all’ennesima provocazione del giovane leader nord coreano Kim Jong-un.

Una prima riguarda la politica interna del paese e i consueti scontri di potere nello stato coreano e nel partito dei lavoratori, la seconda ha a che vedere con assetti internazionali e – nello specifico – dell’area geografica asiatica.

Per quanto riguarda il primo aspetto: Kim è giunto al potere giovane, poco conosciuto dal suo popolo (in Corea si dice che all’inizio del suo «mandato» fossero pochissimi i tradizionali ritratti appesi nelle case coreane) e in preda a un  dilemma che potremmo definire «confuciano».

In un paese in cui tradizionalmente l’autorità morale ed etica si risolve in un conflitto generazionale gerarchizzato a favore degli anziani, la sua giovane età non ha giovato alla presa – e al successivo mantenimento – del potere. Per questo, pare, sia stato costretto più volte a forzare la mano.

Il 2016 sarà l’anno del congresso del partito, a maggio, e Kim sa che potrebbe dover affrontare fronde interne, nel gioco di potere infinito che lo vuole in pasto ora ai militari, ora a parenti serpenti, ora ai «riformatori» favorevoli a una seppur minima apertura del paese sul modello della Cina.

Kim, 33 anni, al potere dal 2011 dopo la morte improvvisa del padre, ha una strada in salita e la minaccia di essere sbalzato dal progredire diplomatico ed economico di un’area in continua trasformazione.

E arriviamo al secondo punto, che si risolve principalmente nella relazione di Pyongyang con la Cina.

Pechino non ama Kim e quest’ultimo non sembra voler sottostare ai diktat cinesi. Da quando è il numero uno, il «leader brillante» non è mai andato a Pechino, neppure in occasione delle celebrazioni per la fine della seconda guerra mondiale.

È che Pechino comincia a non trovare più valide motivazioni per sostenere il regime di Kim, specie in un ambito asiatico in evoluzione. La mossa di sganciare l’ordigno da parte di Kim potrebbe essere dunque rivolta a ricatturare l’attenzione della Cina, che pure ha reagito in modo infastidito a questa ennesima trovata.

La Cina si «oppone con fermezza al test con una bomba nucleare all’idrogeno che la Corea del Nord ha annunciato», ha tuonato il ministero degli esteri di Pechino.

I vecchi generali che sostengono la necessità di difendere la Corea del Nord da una ipotetica unificazione, che porterebbe gli Usa in casa del partito comunista cinese, cominciano a essere sempre meno.

Xi Jinping, anche per contrastare l’asse Usa- Giappone, da tempo ha cominciato a stringere importanti accordi commerciali con la Corea del Sud. Un’altra mossa che non deve essere piaciuta granché al ragazzino di Pyongyang.

C’è da chiedersi quanto Kim possa tirare la corda, ben consapevoli che in questo momento solo gli aiuti cinesi consentono al suo governo di rimanere in piedi.

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