Narcisista, trasgressivo, innovatore e conservatore. Santo e maledetto. Tutto e il contrario di tutto, Renato Zero nella ormai quarantennale carriera non è stato semplicemente un cantautore – folle e creativo agli inizi più compiutamente pop da fine anni settanta ad oggi – ma ha saputo in qualche modo rivoluzionare la scena italiana grazie a una personalità strabordante e una creatività infinita – soprattutto a livello scenografico, in un momento in cui solo in pochi sapevano cogliere gli impulsi che arrivavano dall’estero.

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Il personaggio Renato Fiacchini, nato a Roma e saldamente radicato nella cultura della città eterna con il suo carattere sempre pronto alla battuta tagliente che alterna a una finta accondiscendenza ma dal carattere di ferro, viene celebrato in una mostra Zero (18 dicembre-22 marzo) all’interno degli Spazi della Pelanda nel cuore di Testaccio a Roma. Per essere precisi nell’ex macello capitolino, e non è un caso visto che gli accostamenti sembra siano stati molto graditi dall’artista.

A dire il vero il è stato consultato ma la mostra è stata in realtà un lavoro curato da Simone Veneziano e prodotta da Tattica, per la direzione artistica e la scrittura dei testi di Vincenzo Incenzo, che si completano in un illustratissimo catalogo. Un allestimento che si sviluppa in quattro grandi padiglioni su 1000 mq e il cui collante – simbolico – è il dna umano. Un – come recitano le note di presentazione – dove si muove la storia dell’artista. .

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Una maschera quella di Zero – un nome d’arte che allude alla nullità trasformato in carisma, successo, notorietà – che affascina pubblico e addetti ai lavori: , raccontava il suo primo fotografo il grande Arpad Kertesz. Il percorso si divide in quattro sale, il primo accomuna Renato al mondo, dalla periferia romana degli anni sessanta – raccontata nelle pagine di Pasolini, al boom economico attraverso foto d’epoca che si alternano ai primi passi di un giovanissimo Zero magrissimo. Con gli italiani usciti dalla guerra che dalla povertà più nera si incanalano verso il consumo di massa. Il nuovo sistema tende a livellare le esistenze, sono le gabbie a cui accenna Zero nelle sue prime canzoni.

Un percorso che si fa in prima persona – il dna del signor Fiachini – nella seconda sala. Sopra fluttuano i manichini rivestiti dei costumi che hanno costituito per decenni una parte fondamentale degli show di Renato, prima di essere sostituiti da abiti di foggia più classica e di color nero. Un mosaico di immagini dove tra locandine di film d’epoca e scene dal suo unico film da protagonista, Ciao Nì (1979), si fanno strada i concetti di romanità, travestimento e circo e di una sessualità che il cantante non ha mai voluto catalogare e accostamenti pasoliniani. Nella terza sala si : sulla parete vengono proiettati i video, spezzoni di concerto e di show televisivi, a rimarcare una differenza decisa del personaggio dagli altri entertainer dello spettacolo, tangibile soprattutto nei settanta.

Colori vividi, silhouette ammiccanti, canzoni celebrate nell’immaginario italiano, trasversale. Destra e sinistra, Zero è apolitico: <è tutto un magna-magna>, ripete spesso… Il dna si completa in una piccola stanza con pareti a specchio e mille luci soffuse che scendono sullo spettatore e con la voce di Renato Zero a raccontare mistero e trasgressione, casualità e imprevedibilità di un personaggio – a suo modo – al contempo alieno e terreno.