Sono stato anche io a sentire la Ministra delle Riforme e – devo dirlo senza avversione pregiudiziale – non ho sentito niente.

A meno che non si voglia interpretare come discorso “politico” o ancora di più, “istituzionale” una serie di slogan senza contenuto. Cito due perle o tre, fra le altre: cosa vuol dire «noi siamo per il cambiamento del Senato fotocopia in un Senato delle autonomie» se non si spiega cosa si intende per “autonomie”?
Io penso che tutti coloro che ascoltano una cosa del genere ritengano che il nuovo Senato dovrebbe rappresentare gli interessi e le istanze della propria “autonomia” intesa come Regione. Ma, se così fosse, il Senatore, eletto dai consiglieri regionali tra loro stessi, dovrebbe avere un “vincolo di mandato”. Una volta in Senato, dovrebbe comportarsi secondo le direttive della propria Regione, indipendentemente dalle personali convinzioni. Senza vincolo di mandato rappresenterà, se dovesse vincere il sì, solo se stesso o al massimo il proprio partito. Dunque chi parla di Senato delle autonomie è un analfabeta costituzionale, oppure dice una cosa sapendo che nella riforma ce n’è un’altra. E questo è un imbroglio per i cittadini.

Cosa significa che «non cambiano i poteri e le prerogative del Presidente della Repubblica» se si nasconde – non si dice neanche nella scheda referendaria – che cambia il sistema di elezione del Presidente?

I padri costituenti del ’47 avevano previsto per l’elezione della massima carica dello Stato, quorum molto alti – due terzi dell’assemblea e, dopo il settimo scrutinio, la maggioranza assoluta – proprio per dare alla figura del Presidente l’autorevolezza del super partes. I riformatori di oggi prevedono, dal settimo scrutinio, i tre quinti dei votanti, che è cosa diversa dalla maggioranza dell’assemblea, soprattutto in considerazione del fatto che, con la riduzione del numero dei senatori, i votanti necessari per rendere valida la seduta potrebbero essere, in teoria, in numero così esiguo da rendere possibile l’elezione del Presidente con i voti dei parlamentari di un solo partito. Un presidente, dunque, espressione e ostaggio di una sola parte. In questo modo se, in apparenza, i poteri e le prerogative del Presidente non cambiano, muta la funzione di garanzia e la forza democratica con la quale la stessa può essere esercitata.

Un’ultima considerazione su un’affermazione e una citazione sbagliata: «l’Europa ci chiede una Costituzione e una legge elettorale che diano stabilità e chi rema contro rappresenta la solita Italia dei gattopardi».Chiariamo: l’Europa non ci chiede stabilità politica perché quella è fatta dal lavoro di mediazione, della ricerca del consenso, di ciò che unisce e non divide la maggior parte dei cittadini, un duro lavoro che si chiama, appunto, politica. Ed è l’Europa dei popoli. Il contrario di ciò che ha fatto e sta facendo Renzi che sta spaccando il Paese.

Nel gergo dell’Europa delle multinazionali, nel mondo dei Boschi, stabilità invece vuol dire decisioni di pochi senza tante chiacchiere, senza leggi da discutere e da emendare, senza dover sentire le opinioni altrui, senza dover indicare e magari cambiare qualcosa. Chi vince la sera delle elezioni, anche se rappresenta una minoranza rispetto alla somma di tutti gli altri, prende tutto il cucuzzaro, cioè la maggioranza e comanda. Non si deve impegnare a ricercare le alleanze, quelle che fanno poi la stabilità. No. Comanda uno e fine della storia.

Ma se governare non è comandare, se governare è convincere gli altri della giustezza delle proprie idee e delle proprie proposte, perché si ha paura delle idee diverse? Perché per poter avere la fiducia della sola Camera dei deputati si devono attribuire per legge centinaia di seggi non corrispondenti alla volontà popolare?

Questo è un segnale di debolezza e non di forza, e la storia insegna che i sistemi fondati sulla debolezza delle idee prima o poi si sostengono con la forza della dittatura. Non è un’ esagerazione, perché se ci si riflette, con pacatezza e senza pregiudizi, ci si accorge che una maggioranza forzata – cioè attribuita per legge in favore di quella che, secondo le urne, è una minoranza – è una forma di dittatura. I “partiti unici”, sono nati così.

E qui casca la citazione a sproposito. Il Gattopardo, nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, è il simbolo di chi vuole apparentemente cambiare affinché tutto resti com’è. Esattamente ciò che propongono la Ministra e il suo premier con i loro slogan immaginifici mentre il potere, quello dei privilegi e della casta, non solo rimane immutato ma si rafforza.

È vero, quindi: l’Italia è sempre il paese del Gattopardo, e chi non ha la sicurezza e la forza politica di De Gasperi o Moro, o Nenni, o Berlinguer, ha paura degli altri, per cui meglio un sistema per comandare facilmente che un sistema ove occorre fare il duro lavoro di convincere per governare.
Per favore, prima che sia troppo tardi, ridiamo dignità alla politica.