le non è certo l’elemento saliente, ma sta di fatto che la crisi greca registra un doppio e pesante fallimento di Matteo Renzi: sul piano della politica estera e su quello della politica interna.

Renzi era arrivato alla presidenza del consiglio con in mente una strategia europea precisa, tutt’altro che nascosta e accompagnata da un ostentato disprezzo per l’«obbedienza» del suo predecessore, Enrico Letta, ai diktat dell’Europa. Il rampante premier mirava a costruire un fronte antirigorista tanto forte da poter trattare quasi su un piede di parità con la Germania e con la Troika costringendole ad abbandonare la strategia disastrosa dell’austerity. Non solo questo avrebbe allentato la presa europea sul nostro Paese. Il ruolo dell’Italia, perno e motore del fronte antirigorista, ne sarebbe uscito immensamente accresciuto.

Quel progetto è miseramente fallito, come ammetteva due sere fa in tv, appena appena tra le righe, il sottosegretario e uomo di fiducia del premier Sandro Gozi. Non che sia esclusiva responsabilità di palazzo Chigi. Ad affondare quell’ipotesi sono stati gli egoismi e i calcoli miopi dei singoli Paesi. Semplicemente Renzi, nonostante il brillante risultato ottenuto alle elezioni europee, non aveva l’autorevolezza e la lucidità strategica necessarie per guidare un progetto tanto ambizioso e avere ragione degli ostacoli.

Alla ricerca di un ruolo internazionale che continua a sfuggirgli, il premier italiano ha dunque completamente rovesciato il suo schema, candidandosi al ruolo di alleato più fedele della cancelliera Merkel, forse sperando di poter sostituire la Francia. Per questo insiste nello spiegare a tutti che in realtà Frau Angela sarebbe favorevolissima a una politica meno rigida anche nei confronti della Grecia, se non ci fossero i Paesi come la Spagna e il Portogallo nonché metà del suo stesso governo a impedirglielo. Non a caso, nella intervista al Sole-24 Ore che a tutt’oggi costituisce il solo suo pronunciamento sulla tempesta greca, ha coraggiosamente sfidato il ridicolo ripetendo che la Germania non ha responsabilità nel dramma greco e scagliandosi con notevole bassezza contro Alexis Tsipras. Il duetto di ieri a Berlino conferma in pieno il ruolo di gioiosa quanto completa subalternità che Renzi ha alla fine dovuto accettare.
Sul piano interno il quadro non è più roseo. Il secondo motivo che spinge Matteo Renzi a spalleggiare i falchi europei senza alcun distinguo, fatti salvi quelli puramente formali e nella sostanza insignificanti, è la convinzione che un successo politico di Tsipras rafforzerebbe in Italia le forze anti-euro: il Movimento 5 Stelle e la Lega. Con calcolo decisamente cinico, il presidente del consiglio si augura una sonora sconfitta del governo greco, e si prodiga perché si realizzi, nella speranza di spuntare così le armi delle forze che, pur diverse tra loro, lo stanno assediando.
Renzi sa bene che un esito simile della sfida rafforzerebbe proprio quel fronte rigorista le cui politiche sa perfettamente essere sbagliate e che potrebbe costituire di nuovo un problema gigantesco anche per l’Italia, date la fragilità estrema e la dimensione esigua della «ripresa». Spera tuttavia di ovviare all’inconveniente in virtù dei buoni rapporti costruiti con Angela Merkel dimostrando un’obbedienza zelante ben maggiore di quella imputata a Enrico Letta.

Per un leader che governa con un potere quasi assoluto, come nessun altro premier prima di lui, e che aveva puntato su un consenso carismatico, dover scommettere sull’asfaltamento della Grecia per avere ragione dei nemici interni non è precisamente un risultato brillante.