Il referendum greco viene seguito da questa sponda dell’oceano come una vicenda che giunge ad un suo epilogo «irrazionale» come lo sono state in fondo le tappe di una partita in cui si gioca il futuro dell’Europa, e non solo.
Il voto greco è inevitabilmente percepito come il primo referendum che inquadra limpidamente la contrapposizione fra mercato e politica, fra capitale e sovranità. Ed è un tema questo di forte attualità anche nella patria del sistema finanziario ai cui eccessi si possono ricondurre le cause prime della crisi. A contraddire la narrazione degli Usa come osservatori disinteressati basterebbero la intercettazioni della Nsa sui telefoni dei ministri delle finanze tedeschi. Wall street, è vero, è esposta in Grecia per meno di 7 miliardi di dollari, una cifra irrisoria che non tiene conto però degli oltre 2.700 miliardi che legano le istituzioni finanziarie americane alle banche europee, soprattutto tedesche e francesi. Un default in cui la Grecia ricoprirebbe il ruolo di una Lehman Bros delle nazioni, rischia di innescare un effetto domino di cui la memoria a Washington è ancora ben fresca.
Per Obama la vicenda greca ripropone in parte la lotta che lo vede contrapposto all’opposizione liberista dei repubblicani come fautore di un welfare moderato. Il presidente che ha combattuto il crack del 2008 a colpi di sovvenzioni pubbliche, si è pronunciato apertamente contro l’austerity come strategia politica. «Non è possibile continuare a stritolare un paese economicamente depresso», ha dichiarato a febbraio. «Ad un certo punto ci deve essere una strategia che favorisca la crescita come strumenti per eliminare debiti e deficit».
Ma la questione va al di la della semplice strategia economica. La vicenda greca affascina perché evoca il tema centrale della disfunzione politica anche di questo paese. Nella versione americana l’analogo dilemma della perdita di sovranità è riproposto dal mastodontico influsso di influenza corporativa nel processo democratico. Gli interessi economici che hanno declinato l’influenza geopolitica attraverso organi transnazionali come la banca mondiale e Fmi, hanno agito internamente attraverso il meccanismo delle lobby e soprattutto quello dei finanziamenti politici che impongono la volontà politica delle corporation. In era subprime, mentre le aberrazioni del complesso politico-finanziario sono diventate sempre più flagranti, l’esautorazione della politica è stata progressivamente legittimata. Nel 2000 con la sentenza nota come Citizens United, la corte suprema ha ufficializzato la consegna del processo democratico nelle mani degli interessi finanziari dichiarando ammissibili i contributi illimitati delle corporation ai politici. Nella «ripresa» economica che ha sancito la decurtazione di salari e diritti dei lavoratori e rimpiazzato gli impieghi della «middle class» con sottolavoro e precariato, i profitti delle corporation si sono impennati, mentre la deregulation ha favorito consolidamento e merger su larga scala. Contemporaneamente è cresciuta a dismisura la sperequazione sociale. L’allineamento di Obama sui trattati di libero commercio richiesta dal complesso finanziario da la misura della sua effettiva influenza politica..
In questo quadro è emersa una crescente consapevolezza cristallizzata nel caso greco. Lotta alla ascesa incontrollata della nuove oligarchie e all’ineguaglianza che ha prodotto sono i principali temi elettorali di Bernie Sanders unico membro socialista del senato.
La candidatura dell’ex sindaco di Burlington, Vermont alle primarie democratche è stata accolta due mesi fa come poco più che una nota di colore. Ma la sua polemica contro i miliardari che hanno dirottato la democrazia americana sta trovando un riscontro inatteso. I comizi di Sanders, iniziati con poche dozzine di supporter in mense scolastiche di provincia oggi gremiscono palazzetti e arene sportive.
Sanders ha espresso un pensiero diffuso nella sinistra americana quando la scorsa settimana ha dichiarato: «in questo momento di grottesca ineguaglianza è assurdo decurtare le pensioni dei greci per ripagare le più grandi banche ed i più ricchi finanzieri del mondo». Il senatore ha chiesto che le potenze mondiali, compresi gli stati uniti, formulino termini che favoriscano la ripresa dell’economia greca dai danni subiti dal 2008. «È inaccettabile che le autorità europee e il Fmi abbiano rifiutato di trovare un piano razionale per ripagare il debito della Grecia».
Soprattutto Sanders ha firmato coi colleghi Alan Grayson, John Conyers e a Raúl Grijalva la lettera spedita giovedì a Christine Lagarde per chiedere alla direttrice del Fmi di astenersi dall’imporre «ulteriori dannose condizioni» alla Grecia. Nel documento si citano gli sforzi già intrapresi dai greci e si elencano gli effetti catastrofici della continuata intransigenza dei creditori, chiedendo al fondo di rispettare il «chiaro mandato con cui è stato eletto l’attuale governo Greco»