La 21esima conferenza Onu sui cambiamenti climatici, Cop21 a Parigi, è una costellazione di eventi. C’è la vera e propria discussione pubblica modello Onu, 4 posti per ognuna delle 195 delegazioni governative e delle strutture Onu nella tradizionale sala, con tribuna per giornalisti e funzionari. E intorno aule e spazi per incontri negoziali, attività diplomatiche, mostre e conferenze ufficiali di contorno, il tutto in una grande area aeroportuale fra i terminal di Charles de Gaulle e la città dei 20 Arrondissement.

Poi ogni giorno si svolgono migliaia di dibattiti, manifestazioni, esposizioni, side events un po’ ovunque nell’Ile de France e in ogni quartiere di Parigi. Ong, associazioni, enti locali, centri culturali, istituzioni pubbliche e imprese private organizzano specifici appuntamenti sullo scibile umano che ruota intorno al riscaldamento globale, spesso su argomenti che non fanno parte di alcun documento Onu o tavolo negoziale, anche se spesso molto importanti per la mitigazione delle emissioni e per l’adattamento ai cambiamenti.

La realtà modifica le coscienze

Le misure per gestire flussi migratori sostenibili per ora non fanno parte del negoziato climatico. In tutte le conferenze Onu sul clima se n’è parlato, la prima cui partecipai per il governo italiano fu Cop2 a Ginevra, nel 1997. È complicato farla entrare in una dimensione operativa su scala globale. Tuttavia, lentamente, troppo lentamente, la realtà modifica le coscienze e impone interventi. Vedremo a Cop22 perché qui a Parigi ormai ne discutono tutti: il rapporto fra migrazioni forzate e impatti del climate change è di un’evidenza assoluta.

I discorsi di apertura ne hanno spesso accennato, da Holland a Ban-ki-Moon. Da settimane vari giornali pubblicano dati e interviste. Al Museo dell’immigrazione ci sono due stupende mostre su frontiere (e muri) e sui migranti ambientali (con belle immagini del fotografo italiano Grassani). Viene annunciato per marzo 2016 l’Atlas des migrations environmentales. Dieci stazioni del Metro hanno pannelli con foto di Salgado.

Hanno grande rilievo i dati sui disastri, che crescono in intensità e frequenza in tutto il mondo: 161 i paesi coinvolti da weather-related events dal 2008, media di 27 milioni l’anno di sfollati in conseguenza di tali eventi. Lo stesso ministro italiano ha intitolato ai migranti forzati il suo intervento per lo speciale di un’agenzia di stampa. E la Regione Abruzzo (tramite il sottosegretario Mazzocca) ha chiesto che se ne parlasse fra i seminari organizzati dal coordinamento di regioni e agenzie per energia e clima, proposta prontamente accolta.

I tanti coerenti volumi del V Report dell’International Panel on Climate Change nel 2014 hanno confermato allarme per come il fattore umano sta facendo evolvere l’ecosistema planetario. La novità principale riguarda l’intreccio fra ridefinizione degli obiettivi globali delle Nazioni Unite e decisivo patto scadenzato e vincolante per mitigare i cambiamenti climatici, oltre che per adattarsi.

Vietato andare oltre i confini

Nel millennio che ci resta (forse) da vivere dovremo il prima possibile evitare di andare oltre i “confini” sostenibili per l’esistenza di tutti i fattori biotici, dei fattori umani e non umani, dell’ecosistema globale e dei singoli ecosistemi (ormai tutti umani). A settembre a New York è stato inserito anche un riferimento alle migrazioni sostenibili.

Lungo tutta l’evoluzione del fattore umano, da quando eravamo pochi pochi e stavamo solo in un posto a quando siamo diventati tanti (7,4 miliardi ora), migrare è stato una straordinaria strategia adattativa della nostra specie per far fronte alle difficoltà di sopravvivere nella nicchia rispetto ad altre specie e per salvarsi dalle intemperie climatiche. Le migrazioni forzate (le uniche all’inizio) ci hanno fatto evolvere, arrivare in ogni continente, costruirci nicchie dove poteva crescere il peso del fattore umano rispetto all’ecosistema, ci hanno dotato di innumerevoli lingue e popoli. Sarà bene tenerne conto.