«Il ballottaggio a Roma sarà un referendum sulle Olimpiadi. Raggi ha detto che sarebbe criminale farle, mentre per me criminale sarebbe rinunciare a questa grande opportunità per Roma. Vedremo cosa pensano i romani». Forse è stato questo l’ultimo errore di Roberto Giachetti e dell’establishment da cui non ha avuto il coraggio radicale di affrancarsi. La trovata elettorale di puntare sul cuore giallorosso e sull’orgoglio nazional-sportivo dell’elettorato romano, messa in campo dall’indomani del voto del primo turno, con una potenza di fuoco impressionante, non ha pagato. Anzi. Con una battuta si potrebbe dire che il vero «miracolo» del candidato renziano non è stato tanto quello di arrivare allo spareggio malgrado la zavorra dem, ma di aver fatto scendere in campo Francesco Totti per realizzare il più clamoroso degli autogol. L’unico nella storia del numero 10.

Cinquantuno mila voti di differenza tra il primo e il secondo turno elettorale (376.935 le preferenze incassate da Giachetti al ballottaggio contro le 325.835 di due domenica fa) vogliono dire sicuramente almeno una cosa, anzi due, che piaccia o no: il Capitano muove il cuore dei romani ma non i loro voti; e nemmeno il sogno olimpico egregiamente evocato da Montezemolo e Malagò può far dimenticare l’incubo ancora troppo vivido di una città alla mercé delle consorterie.

Ma mentre Roberto Giachetti forse sta riflettendo sull’errore di aver fatto entrare i Giochi olimpici nell’urna, il comitato Roma 2024 invece non perde tempo e, a risultato ufficializzato, saluta con entusiasmo la nuova sindaca, iniziando già a tirarla per la “gonnella”: «Congratulazioni @virginiaraggi per una vittoria storica #OpportunitaRoma #WeWantRoma2024», è il tweet ufficiale del comitato olimpico.

Non un voltafaccia: il presidente del Coni, Malagò, che pure si era accapigliato molto con l’allora candidata pentastellata, pronostici alla mano aveva già tentato di sfilarsi dal gioco e di recuperare una sorta di equidistanza formale tra i due sfidanti. Soprattutto, fa notare Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani e tra i promotori del referendum sulle Olimpiadi, «dalle parti del Coni si era già cominciato a capire che solo con una consultazione popolare, sulla quale il M5S è stato troppo ondivago, si può ora ridare una chance a Roma 2024. Spero che alla fine ci sarà un interesse convergente di Malagò e di Raggi sul referendum».

Magi non nasconde però la sua amarezza: «Da Radicali abbiamo scommesso sulla candidatura radicale di Giachetti, impegnandoci perché diventasse un’occasione di rottura con le esperienze di governo consociativo e di rilancio della città con riforme davvero radicali. Purtroppo questa radicalità non è emersa, né nel modo di condurre la campagna elettorale, né nelle soluzioni di governo proposte».

Per non parlare del «boomerang» delle Olimpiadi, appunto. «Mi è sembrato da subito uno scivolone invitare i romani a pronunciarsi, tramite il voto, su un progetto, quello inviato al Cio, che manca di trasparenza e di chiarezza sulla legacy per la città – aggiunge Magi -. Quali infrastrutture, quali trasporti, quali servizi erediteranno i romani? Non sono stati usati nuovi argomenti, non sono state aggiunte nuove informazioni, non è stato modificato il progetto: abbiamo assistito solo alla replica di uno spot, che peraltro dava informazioni parziali se non distorte». Una grande campagna condotta quasi a reti unificate sui media main stream. «Inopportuna», per i promotori del referendum: «Ma perché il Coni, che è un ente pubblico, sta spendendo soldi pubblici con campagne di affissioni in tutta la città? Chi deve convincere, che bisogno c’è? – prosegue Magi – Abbiamo scritto al Comune, alla commissione per i referendum e scriveremo all’Agcom chiedendo che sia garantita un’informazione equilibrata, visto che è in corso una procedura referendaria».

Avrebbe voluto una grande operazione di trasparenza, Magi, ma nemmeno il suo compagno radicale lo ha seguito su questo campo: «Se avesse spiegato meglio qual è questa “imperdibile opportunità”, avrebbe potuto almeno fugare l’impressione, in parte assolutamente giustificata, che le Olimpiadi servono soprattutto ai “poteri forti” romani».