Il Fondo monetario torna sul luogo del delitto e in un aggiornamento al rapporto sul debito greco filtrato ieri sull’agenzia Reuters lancia un quadro ancora più devastante della situazione reale delle casse elleniche. «Il deterioramento drammatico alla sostenibilità del debito greco comporta un impegno finanziario a una scala molto superiore a quella presa in considerazione finora (era lunedì scorso, ndr) dal Mes» (leggi qui il rapporto completo pubblicato il 15 luglio 2015).

Il Fondo di Washington non lascia scampo ai paesi europei: “A causa degli avvenimenti recenti, dellla chiusura delle banche e dell’allentamento delle politiche alla fine dell’anno scorso (campagna elettorale, ndr) il debito greco è diventato altamente insostenibile”. Dunque le strade possibili sono solo tre:

  1. un raddoppio di altri 30 anni del periodo di «grazia», di moratoria sul debito, che includa vecchi e nuovi prestiti;
  2. un taglio sostanziale (hair-cut) al valore del debito (che si paleserebbe sul bilancio dei creditori);
  3. finanziamenti diretti e annuali alle casse greche per mantenerle in equilibrio.

“Sta alla Grecia e agli europei decidere quale strada intraprendere”, specifica il Fondo.

In breve, le stime da 85 miliardi fatte domenica notte a Bruxelles sono già superate dagli eventi.

Per i detrattori di Tsipras, l’aggravarsi del debito nelle ultime due settimane è il frutto avvelenato del «suo» referendum. In realtà, però, il Fondo punta il dito soprattutto sul controllo dei capitali e la chiusura delle banche decise il 29 giugno scorso. E sarebbe quindi il conto, salatissimo, delle scelte di Draghi e della Bce.

Comunque la si guardi la situazione è critica, e contraddice apertamente il senso quasi di sollievo espresso dai creditori dopo il vertice tesissimo di domenica notte a Bruxelles.

Secondo il Fmi «entro i prossimi due anni il debito greco sul Pil schizzerà al 200%, oltre il 177% preventivato finora». E anche nel 2022 questo valore «si aggirerà intorno al 177%, sopra il 142% ipotizzato due settimane fa. Il fabbisogno finanziario lordo supererà la soglia critica del 15% e crescerà nel medio termine». Inoltre, anche queste ultime valutazioni possono essere «sottostimate», un modo anodino per dire agli europei che dovranno mettere mano al portafoglio anche in futuro.

Nel linguaggio laconico tipico di questi rapporti, i tecnocrati di Washington sottolineano che solo un paio di paesi nella storia dell’umanità sono riusciti a sostenere un avanzo primario del 3,5% per diversi decenni come i creditori si ostinano a chiedere dalla Grecia. In genere non appena compare un avanzo primario significativo (che è ciò che resta in cassa al netto del servizio del debito) un governo difficilmente resiste – giustamente – a spenderlo per migliorare le condizioni del paese o effettuare investimenti.

In conclusione, il Fmi giudica anche «irrealistico» – come preteso dai creditori – che la Grecia possa tornare sui mercati dal 2018: «Finanziarsi con qualsiasi strumento che non sia una tripla A comporterà un peggioramento della dinamica dell’indebitamento per i prossimi decenni».

Ieri è scaduta, tra l’altro, un’altra rata da 456 milioni del debito greco con il Fmi portando il totale arretrato a 2 miliardi. Tsipras, invece, è riuscito a ripagare in tempo i 160 milioni di «bond samurai» emessi in yen nel ’95 evitando il default verso investitori privati.

In questo quadro critico, l’Ecofin di ieri non ha raggiunto nessun accordo formale sui 12 miliardi di prestito-ponte alla Grecia tramite l’Efsm. Fuori dall’eurozona hanno votato contro pubblicamente il Regno Unito e la Croazia, dentro l’eurozona la Slovacchia. «Non un penny per la Grecia», ha detto il ministro dello Scacchiere inglese Osborne.

La Germania nicchia. E soluzioni vere a portata di mano non sono alle viste. Lasciando Bruxelles, Schauble ha detto che «diversi ministri del governo tedesco erano d’accordo con il piano di Grexit temporaneo, ma è una scelta che spetta alla Grecia».