Regista bon ton con predilizione per la commedia – il film più recente è Two Mothers dal romanzo di Doris Lessing in cui due donne, Naomi Watts e Robin Wright si innamorano una del figlio dell’altra – anche attrice, e con un passato di danzatrice, Anne Fontaine fa un cinema che oltralpe definiscono «cinéma du milieu»(se devo trovare un paragone qui il nome che mi viene in mente è quello di Cristina Comencini),sempre molto educato, un po’ «filo di perle», attento a non sbilanciarsi, e a non osare anche quando tratta temi scabrosi (vedi le spiagge lascive del sopracitato Two Mothers). Con ambizioni autoriali ma di genere (e che incontrino il favore del pubblico): thriller(Nettoyage à sec, Entre ses mains), commedia (Nouvelle chance, Mon pire cauchemar), biopic (Coco avant Chanel), erotismo e trasgressione (Le due madri). Il tutto sempre con un cast di alto livello – da Audrey Tautou a Gérard Depardieu, Miou-Miou, Robin Wright – e spesso la produzione (come in questo caso) del marito Philippe Carcassonne (produttore tra gli altri di Benoit Jacquot).

 

 

Fontaine si affida alla scrittura di Pascal Bonitzer, antico critico dei Cahiers du cinéma, sceneggiatore di Rivette, Téchiné, Ruiz, regista lui stesso (Rien sur Robert), e all’interpretazione del magnifico attore rohmeriano Fabrice Luchini (tra l’altro anche protagonista prediletto da Bonitzer). E la penna delicatamente irriverente di quest’ultimo piega nonostante tutto il film, donandogli vie di fuga inaspettate.
All’origine c’è la graphic novel di Posy Simmonds, Gemma Bovery (film di apertura dello scorso Festival di Torino), variazione in chiave contemporanea del mitico personaggio flaubertiano, dove la protagonista, la Gemma Bovery del titolo, è una ragazza inglese che insieme al marito fugge dalla frenesia londinese in un villaggio verde e idilliaco della Normandia dove il suo arrivo scatena uno tsunami del desiderio.
Gemma (Gemma Arterton) accende soprattutto le fantasie di Martin (Luchini), un ex-bobo parigino che ha cambiato più o meno volontariamente stile di vita diventando il panettiere del villaggio. Delle ambizioni della sua giovinezza gli rimane una sfrenata capacita d’immaginazione e la passione per la letteratura, quella di Gustave Flaubert soprattutto. Si capisce allora il suo turbamento quando la coppia di inglesi arriva sul continente con un nome in più che gli suona stranamente familiare.

 

 

Non basta. Oltre a chiamarsi Gemma e Charles Bovery, i due hanno dei comportamenti che sembrano essere ispirati dagli eroi di Flaubert. Per l’artista sepolto a forza in Martin, l’occasione è irripetibile: impastare nella farina del pane e delle brioches anche i destini di personaggi in carne e ossa. La bella Gemma però non conosce i classici e sembra essere di altro avviso …
L’impronta di Bonitzer. Questo gioco di specchi letterario, di citazione e al tempo stesso distanza da quello che è un classico della letteratura di ogni tempo – al cinema portato da Jean Renoir ( 1933), Vincente Minnelli (1949) e Claude Chabrol – si accorda perfettamente alla sensibilità di Bonitzer, che è maestro a narrare fantasmagorie amorose e traiettorie immaginate del desiderio.

 

Il personaggio di Martin, a cui Luchini però non sempre riesce a infondere la necessaria ossessività, si presta a quelle che sono anche le ossessioni dello sceneggiatore, l’idea di costruire storie di infinite vite possibili. Il testo di Simmonds però risponde anche alle predilizioni della regista, offrendogli quella costante che caratterizza le sue storie, ovvero filmare l’incontro tra personaggi antagonisti, e i conflitti che ciò provoca, raccontare sentimenti che la morale biasima, in questo caso l’amore di un vecchio signore per una ragazza dall’apparenza ingenua.

 

 

 

Il primo riferimento è la commedia da boulevard sofisticata, insieme alla satira con piccoli tracce hitchcockiane:ma basta quel tocco Bonitzer a liberare il film dall’accademismo di Anne Fontaine?
Diciamo che la fantasmagoria amorosa di cui appunto Bonitzer sa rendere con pienezza sfumature e piaceri, nelle mani di Fontaine finisce per diventare uno strumento con cui svuotare il personaggio di Gemma proprio della sua caratteristica essenziale: la sensualità. Del resto nella regista anche quando molto evocato il sesso rimane sempre a distanza assai precauzionale dai corpi e dalle loro vibrazioni. Restano quelle crepe di una scrittura che comunque sfugge alla gabbia, e sa trovare una sua dimensione di piacevolezza e sorpresa.