Il governo e i mass media dell’Avana seguono con attenzione e indubbio interesse la lotta serrata in corso in Brasile in vista delle elezioni presidenziali di domenica. Né potebbe essere altrimenti, visto che, dal punto di vista cubano, è in corso uno scontro frontale tra due progetti politici alternativi, quello neoliberale e quello “postneoliberale”, intrapreso all’inizio del Duemila dal presidente Lula e proseguito dall’attuale presidenta Dilma Roussef.

Il primo, apertamente proclamato dalla candidata del Partito socialista, Psb, Marina Silva, prevede un riavvicinamento del Brasile agli Stati uniti e una decisa sterzata nella strategia di sviluppo giacché punta alla classica alleanza con il Nord neoliberista, mediante l’adesione Alleanza del Pacifico (a cui partecipano Messsico, Colombia, Perù e Cile, e l’agenzia cubana “Prensa latina” la definisce un «cavallo di Troia degli Usa in America latina)– a scapito degli accordi di integrazione regionale che il Brasile attualmente sostiene: dal Mercosur (Mercato comune del sud formato da Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela) al Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ovvero a forme di integrazione regionali e sud-sud.

Inoltre Marina è favorevole a un gran piano di austerità per «aggiustare i conti pubblici», a una politica fiscale che favorisce le banche private, al rafforzamento della rendita, all’indipendenza della Banca centrale. Insomma, una linea che contrasta apertamente con i governi fin qui guidati dal Pt, il partito dei lavoratori di Lula e Roussef, che hanno dato priorità alle politiche sociali, ai progetti di integrazione regionale, allo scambio Sud-Sud, a mantenere un ruolo economico attivo dello Stato.
«Le due candidate rappresentano due schieramenti radicalmente opposti:Dilma è la continuità con le trasformazioni sociali ed economiche realizzate dal presidente Lula. Marina, si propone la rottura di questo modello e un allineamento del Brasile con gli Usa», conferma il politologo Esteban Morales.

L’attenzione del vertice cubano non riguarda solo la scelta di linea politica e di schieramento internazionale del gigante dell’America latina. Dal voto dei brasiliani può dipendere anche una parte importante del futuro economico di Cuba.

Dilma infatti ha messo in risalto l’«alleanza strategica» con la maggiore della isole del Caribe, concretamente espressa nei massicci finanziamenti – fino ad oggi 957 milioni di dollari- per la costruzione del porto in acque profonde di Mariel (una quarantina di chilometri ad Ovest dell’Avana) e della relativa Zona di sviluppo speciale, che aspira a diventare il motore dello sviluppo cubano.

I finanziamenti sono stati concessi dalla Banca nazionale di sviluppo economico e sociale (Bnds) del Brasile proprio in cosiderazione dell’«importanza strategica del porto nel commercio brasiliano nella regione dei Caraibi». Non solo, l’alleanza tra l’Avana e Brasilia si estende anche ad altri settori, primo tra i quali quello delo zucchero, con investimenti e teconologia brasiliana.

Questo forte impegno del governo di Dilma è stato criticato dalla sua avversaria. Marina ha ventilato una radicale svolta affermando che «la migliore forma per aiutare il popolo cubano è capire che può attuare una transizione dall’attuale regime alla democrazia» e annunciando che, una volta eletta, agiterà la questione dei «diritti umani», leva politica usata a man bassa dagli Stati uniti per la loro politica di governement changin.

«Il Brasile non ha una vocazione imperiale, …non distribuisce certificati (di comportamento politico “corretto”) a altri paesi. Rispettiamo Cuba, esattamente come, per fare un esempio, gli Stati uniti, la Francia e la Cina», ha ribattuto nei giorni scorsi Marco Aurelio Garcia, consigliere per gli affari esteri della presidenta.

Dilma, alla fine di agosto nel corso del primo dibattito tra i vari candidati alla presidenza, aveva difeso la scelta di investire a Cuba, sotenendo che la costruzipone del porto di Mariel e altre iniziative beneficiavano l’economia brasiliana e creavano importanti posti di lavoro.
Per questa ragione i mass media cubani hanno sottolineato con soddisfazione che dopo «l’effetto tsunami» del lancio della candidatura di Marina, gli ultimi sondaggi convergono verso una vittoria al primo turno di Dilma, data in testa per nove punti sulla rivale, e una sua probabile conferma, seppur di strettissima misura, nel ballottaggio.