Ampiamente annunciato, il crollo in Borsa delle compagnie responsabili dello sfruttamento dei giacimenti israeliani di gas Tamar e Leviathan, è puntualmente avvenuto ieri e si è trascinato dietro tutto il settore energetico. Era inevitabile dopo l’annuncio fatto domenica dall’Eni della scoperta, al largo della costa egiziana, del più grande giacimento di gas naturale nel Mediterraneo. Annuncio giunto, peraltro, pochi giorni dopo la conferma del rallentamento ben oltre le previsioni della crescita economica israeliana. Senza dimenticare le tensioni e le proteste andate avanti per mesi per le decisioni prese dal governo Netanyahu in merito allo sfruttamento dei giacimenti di gas, sfavorevoli ai consumatori locali e mirate a fare la fortuna dei giganti dell’energia e delle casse dello Stato.

 

In un attimo è cambiato lo scenario strategico ed energetico emerso in questi ultimi anni nel Mediterraneo orientale. Israele, sicuro di avere le riserve di gas più consistenti, credeva di poter valere la sua legge e di dettare il livello dei prezzi. Non solo. Tel Aviv, sullo sfruttamento e la protezione del gas, ha anche imbastito una serie di alleanze, in particolare con Cipro, che contemplano pattugliamenti della Marina militare israeliana in aree sensibili, a contatto ravvicinato con unità da guerra turche. Potrebbe cambiare tutto o quasi. La scoperta fatta dall’Eni – secondo indiscrezioni avvenuta da tempo ma annunciata soltanto domenica per ragioni oscure – significa l’immissione sul mercato, forse già tra due anni, di imponenti forniture di gas egiziano con conseguenze sui prezzi. I danni maggiori rischiano di subirli i gestori del giacimento Leviathan con clienti che ora diventano più incerti e con l’Egitto che, avendo a disposizione tanto gas, non ha più bisogno di comprare quello israeliano. Pericoli in vista anche per l’altro giacimento, Tamar. Secondo un esperto israeliano, Eran Unger, Tamar vedrà le sue esportazioni decrescere e dovrà fare i conti con la politica dei prezzi bassi che, ci sono pochi dubbi, praticherà il Cairo. Unger prevede inoltre che Leviathan avrà “piccoli clienti”, di fatto solo Israele e Giordania. Da domenica perciò nello Stato ebraico si parla della doccia fredda energetica e gli analisti non fanno che delineare i cambiamenti di uno scenario dove Israele riteneva di fare la parte del leone. E tremano anche i regnanti del Qatar, nano con la forza di un gigante grazie anche alla vendita delle sue ingenti riserve di gas. Anche Doha dovrà fare i conti con il gas egiziano nel giro di due-tre anni, in una fase in cui le relazioni tra i due Paesi sono difficili.

 

Il giacimento egiziano, battezzato Zohr, rappresenta una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale. Presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto (equivalenti a 5,5 miliardi di barili di petrolio) e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Soddisferà la domanda egiziana per decenni. Zohr presenta anche un potenziale a maggiore profondità, che sarà investigato in futuro dall’Eni attraverso un pozzo dedicato. Al Cairo suonano in queste ore le trombe della vittoria e i giornalisti megafono del regime di Abdel Fattah al Sisi, che appena qualche settimana fa aveva gridato al trionfo per l’apertura di un secondo canale a Suez, parlano della scoperta fatta dall’Eni come se fosse un pozzo inesauribile di ricchezza per tutti gli egiziani. Pur sapendo che, in ogni caso, non sarà così. Secondo l’economista Ahmed Abul Wafa, giornalista economico dell’agenzia di stampa statale Mena «La scoperta permetterà la riapertura di molte imprese in Egitto che negli anni passati si sono trovate a chiudere i battenti…ridarà fiato alla nostra industria…i guadagni ricavati dallo sfruttamento del gas potranno essere dirottati per sviluppare le regioni povere dell’Alto Egitto…saremo in grado di risanare il debito nei confronti delle compagnie straniere e ridare fiducia al nostro governo». Ad arricchire questo scenario paradisiaco sono giunte le previsioni di Khaled Abu Bakr, presidente di una compagnia di energia araba, convinto che il nuovo giacimento di gas cambierà completamente gli assetti geopolitici dell’Egitto che, a suo dire, spinto a vendere gas ai grandi Paesi industrializzati dell’Oriente, come il Giappone, si aprirà a nuovi mercati con risultati spettacolari.

 

Gli stessi sogni cullati da Israele che nelle riserve di gas, fino a tre giorni fa, vedeva un’arma economica altrettanto potente di quelle vere che si trovano nei suoi arsenali. Leviathan era stato scoperto dalla compagnia Noble a 130 km nord-ovest dalla città di Haifa e prima di esso erano stato trovato i più piccoli Dalit e Tamar. Israele, che si era accaparrato lo sfruttamento totale del Leviathan nonostante parte del bacino si trovi in acque libanesi e siriane, quindi escludendo Beirut e Damasco dalla spartizione della torta, contava di assicurarsi l’autonomia energetica per almeno 20 anni e di esportare la sua richezza a un prezzo vantaggioso. E altrettanto sognava Cipro che, oltre a escludere dallo sfruttamento delle sue riserve l’avversaria Repubblica di Cipro del Nord e la Turchia, pianificava di esportare il suo tesoro verso i mercati europei. Tutto è ancora possibile ma l’enorme giacimento egiziano avrà comunque riflessi importanti sulle strategie, non solo energetiche, di Israele e dei suoi alleati.