Con la «strepitosa» (come dice lui) proposta del Migration compact – prelevata peraltro di peso da un documento elaborato dallo staff della sua affiliata Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea – Renzi sostiene di aver trovato la soluzione per bloccare il flusso dei profughi provenienti dall’Africa.

Si tratta non solo di pagare i governi degli Stati di origine o di transito dei profughi perché li trattengano lì, sul modello dell’accordo tra Ue e Turchia, ma anche di promuovere sviluppo e occupazione in tutti quei paesi, perché i loro abitanti non abbiano più motivi di emigrare.

La prima cosa che viene da chiedersi è come mai Renzi, che pensa di avere la chiave per creare tanti posti di lavoro in un continente che conta oltre un miliardo di abitanti non sia riuscito a farlo in un paese che ne conta solo sessanta milioni, da cui continuano ad emigrare almeno centomila persone all’anno, prevalentemente giovani laureati e diplomati. Viene da pensare che Renzi non abbia alcuna idea di che cosa sia l’Africa, di che cosa comporti nei paesi di quel continente la presenza predatoria di multinazionali come Eni ed EDF (a cui il Migration compact vorrebbe affidare l’attuazione del suo programma di sviluppo), di che cosa sia la cooperazione allo sviluppo e, soprattutto, della violenza a cui sono sottoposti i profughi in gran parte di quei paesi prima di raggiungere il Mediterraneo per imbarcarsi per un viaggio dove rischiano la morte.

Probabilmente invece, di tutte queste cose qualcosa ne sa; potrebbero averglielo spiegato i suoi collaboratori. Ma pare comunque chiaro, come in tutto quello che Renzi fa da quando è al governo, il fine elettorale anche di questa «trovata» fatta sulla pelle dei profughi. Renzi, che come tutto l’establishment europeo, non ha idea di come affrontare il problema, sta cercando di nasconderne le vere dimensioni, per tranquillizzare un elettorato aizzato da Salvini e i suoi sodali, e di far credere che la soluzione sia a portata di mano. E ha fretta che venga approvato dal Consiglio europeo prima del referendum su cui si gioca il suo futuro; e anche di spacciarlo come soluzione prima delle elezioni amministrative.

Stupisce invece il servilismo con cui i commentatori di stampa e media stanno al gioco, fingendo di non capire che quel piano non è altro che una patacca. Persino chi ha il coraggio di ammettere che il problema non si risolve in quattro e quattr’otto e che è urgente attrezzarsi per far fronte non solo all’accoglienza immediata, ma anche alla permanenza di centinaia di migliaia di profughi che non possono, e non potranno tornare indietro per anni, come stanno facendo i vescovi italiani, continuano però a sottovalutare le dimensioni del problema, lasciando campo libero all’allarmismo di un Salvini; o, come il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, fanno credere che l’Italia, stretta nella «tenaglia» tra gli sbarchi e la chiusura delle frontiere alle Alpi, possa affrontare da sola un flusso destinato a durare ed a crescere negli anni. Il che non è vero.

Per questo stupisce meno il credito che viene dato al Migration compact a livello europeo. Nessuno, nelle cancellerie dei paesi membri o nella Commissione, ha ancora detto che è semplicemente grottesco. Ma il gioco è chiaro: si tratta per tutti loro di prendere tempo, di rinviare la ricollocazione dei profughi proposta dal piano Juncker, lasciando che il peso dei nuovi arrivi si scarichi tutto sull’Italia. Ma questa politica del rinvio, che lascia campo libero alle destre razziste, come hanno reso evidenti le elezioni austriache, significa prima la dissoluzione dei partiti al governo dei principali paesi europei e, contestualmente, la fine dell’Unione europea.

Non c’è da farsi molte illusioni: contro gli umori viscerali cavalcati dalle destre di tutta l’Unione, la costruzione di una politica vera di accoglienza e di inclusione dei profughi in arrivo dall’Africa e dal Medioriente non è né semplice né rapida come gli slogan usati dalle destre o il bluff lanciato da Renzi. È un processo lento e difficile, che vedrà le forze impegnate su questo fronte in minoranza per molti anni a venire. Ma occorre mettere in piedi sin da ora, integrando il tema dei profughi in tutti gli altri ambiti su cui si sta sviluppando il conflitto sociale in Europa in questo periodo, le ridotte da cui puntare alla riconquista delle condizioni di una convivenza vera tra cittadini europei e profughi e migranti, ma anche tra i popoli dell’Europa e quelli dei paesi da cui tante persone sono state, e continueranno ad essere costrette a fuggire.