Al di là delle smentite sulla «credibilità» o meno del piano sulle pensioni elaborato dal governo Renzi con i sindacati confederali, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha lanciato un allarme sul debito dell’istituto di previdenza (44 miliardi di euro). In un’intervista al Corriere della Sera di ieri Boeri ha detto che l’Ape social – l’anticipo pensionistico a carico dell’Inps per chi ha un reddito attuale da lavoro inferiore ai 1350 euro mensili, è nato tra il 1951 e il 1953, lavora in alcuni settori usuranti e ha diritto al prepensionamento – potrebbe costare altri 24 miliardi, comprensivi dell’aumento della 14esima, no-tax area per i pensionati e crediti di imposta per chi chiede l’Ape di mercato, cioè si indebita con banche e assicurazioni. Una cifra che potrebbe essere più grande perché nell’attuale verbale di accordo con i sindacati non sono stati definiti paletti rigidi.

Boeri sostiene che nel 2018 non sarà facile interrompere l’Ape social e tra due anni ci sarà la richiesta di applicarla ad altre categorie. Il governo la considera «sperimentale», invece il presidente dell’Inps la considera già strutturale. Senza contare che la richiesta di ampliamento dell’Ape potrebbe essere necessaria per ovviare ai problemi creati dalla legge Fornero che ha innalzato l’età pensionabile in un periodo in cui gli over 50 perdono il lavoro e non ne trovano un altro. Il costo di una riforma disastrosa andrà ad abbattersi sull’Inps e le casse dello Stato, già impegnate a cercare risorse per l’ottava salvaguardia degli «esodati», mentre «già si parla della nona» ha detto Boeri.

Sono due aspetti della stessa medaglia: si usa l’Inps come ammortizzatore sociale e per ovviare ai malfunzionamenti creati dalle riforme pensionistiche. Invece di cercare una soluzione a monte – la crisi economica, le ragioni strutturali del crollo occupazionale e dell’assenza di domanda, una riforma della Fornero e del sistema contributivo – si continuano a cercarle a valle con provvedimenti tampone che vanno via, uno dopo l’altro, come le ciliegie. In questa cornice sarà avviato il secondo round delle consultazioni con i sindacati. Boeri lo ritiene essenziale per una discussione sull’indicizzazione delle pensioni e sulla definizione dei lavori gravosi per definire un insieme di parametri oggettivi per l’Ape social.

Dai dati dell’Osservatorio Inps sul casellario centrale dei pensionati il debito pensionistico risulta in aumento nel 2015: le prestazioni erano 23,1 milioni per una spesa complessiva annua di 280,2 miliardi, +1,2% sul 2014. L’importo medio delle prestazioni è di 12.136 euro annui. I beneficiari sono 16,2 mln (-0,5%) e Il 39,6% dei pensionati italiani (circa 6,4 mln), percepisce meno di mille euro al mese.

Dal monitoraggio dell’Inps risulta che i pensionati con meno di 500 euro sono 5 milioni 900 mila e rappresentano il 25,5% del totale; sono 3,36 milioni che hanno tra i 500 e i mille euro. I pensionati tra mille e 1.500 euro sono 3.159.808 (13,7%). Le pensioni che superano i 1.500 euro è costituito da poco meno di 5 milioni di pensioni (21,6%). Tra i pensionati con i redditi più alti le donne sono appena 273.127 a fronte di 780.482 uomini. La ripartizione geografica dei pensionati registra una maggiore incidenza di quelli tra 55 e 64 anni; nel Centro esiste una quota elevata di pensionati con 80 e più anni.

A sud si osserva la quota maggiore nei beneficiari con età inferiore a 40 anni o poco più, prodotto di una maggiore incidenza delle pensioni di invalidità. Il gruppo più numeroso di pensionati è quello dei titolari di pensioni di vecchiaia: 11.141.662. Tra queste le categorie più numerose sono le pensioni di invalidità (circa 1,3 milioni). I titolari di pensioni ai superstiti sono circa 4,4 milioni (32,6%). Il restante 67,4% di questa categoria percepisce pensioni di altro tipo. I beneficiari di prestazioni assistenziali come l’invalidità civile, i non udenti, i non vedenti, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra sono quasi 3,5 milioni. Il 53,4% è titolare anche di prestazioni diverse da quelle assistenziali. I pensionati di vecchiaia vivono di più al Nord (54,5%), quelli titolari di invalidità previdenziali e assistenziali sono di più al Sud (rispettivamente 46,2% e 45,8%).