“A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace”.

La richiesta di Francesco arriva – in apertura (straordinaria) della prima porta santa del Giubileo della Misericordia – dalla cattedrale di Bangui, una delle periferie più povere del mondo, capitale di un Paese – la Repubblica Centrafricana – afflitto da una delle più grandi e più dimenticate crisi umanitarie dell’Africa e che conta – secondo dati Onu – circa 440.000 sfollati interni e 450.000 rifugiati nei paesi limitrofi su una popolazione di 4,5 milioni di abitanti.

L’appello contro l’uso “ingiusto delle armi” giunge accompagnato dall’invito a “costruire dalla meravigliosa diversità del mondo”, e a evitare “la tentazione della paura dell’altro, di ciò che non ci è familiare, di ciò che non appartiene al nostro gruppo etnico, alle nostre scelte politiche o alla nostra confessione religiosa”.

Per un giorno almeno, sotto i riflettori dei media di mezzo mondo, la Repubblica centrafricana – sin dall’era coloniale ai margini delle agende politiche dei grandi della terra ma non dei loro interessi economici – da cenerentola è diventata con Bangui “capitale spirituale del mondo”.

Sotto il “fervido auspicio che le diverse consultazioni nazionali che si terranno tra poche settimane possano consentire al Centrafrica di intraprendere serenamente una nuova fase della sua storia”.

E ancora: “Ogni persona ha una dignità e mi è stato detto che la Repubblica Centrafricana è il paese di “ Zo Kwe zo” (in lingua sango “un uomo merita un altro”), in cui ogni persona è una persona”.

In mattinata in visita a un campo profughi che ospita circa 3.700 donne e bambini, per lo più cristiani, sfollati a causa delle violenze, ha rilanciato – dalla parrocchia di Saint-Sauveur – il messaggio di pace e uguaglianza di questi giorni (che a Bangui fa un’eco particolare): “Vogliamo la pace. Non c’è pace senza perdono, senza tolleranza. Quali che siano le distinzioni di etnia e status sociale, siamo tutti fratelli”. “Lavorate, pregate, fate qualunque cosa per la pace. Ma ricordate, la pace senza amore, senza amicizia e senza tolleranza è nulla”.

Straordinarie le misure di sicurezza con cui il papa è stato accolto all’aeroporto di Bangui per la sua prima visita in una zona di guerra, tra elicotteri da attacco e mezzi blindati dei caschi blu delle Nazioni Unute e delle forze francesi dell’Operazione Sangaris (tra quelli schierati, circa 3,000 i soldati della missione Onu nella Repubblica Centrafricana (Minusca), 500 i poliziotti e i gendarmi del governo centrafricano e 900 i soldati allertati della Francia). Con un soldato delle Nazioni Unite armato di fucile in ognuno dei minibus che trasportavano i giornalisti al seguito del papa.

Solo 3 settimane fa – a ridosso della visita di Francesco – almeno 22 persone sono state uccise in una serie di incursioni nei villaggi.

Uomini armati hanno sgozzato 10 persone nel villaggio di Ndassima prima di effettuare un attacco durante la notte vicino a Mala, dove 8 abitanti sarebbero stati rapiti e decine di altri sono stati dispersi. Sei le vittime giorni dopo in un attacco nel villaggio di Bandambou.

Già rimandate in precedenza, elezioni presidenziali e parlamentari sono state fissate per il prossimo 27 dicembre. Nonostante l’attuale governo di transizione non trovi in questa decisione il sostegno dei circa 40 partiti politici, tra cui i sostenitori dell’ex presidente François Bozizé, né quello delle fazioni delle milizie rivali dei Seleka e degli Anti-Balaka.

Quanto all’appello a rinunciare all’uso “ingiusto” delle armi, il messaggio del pontefice giunge in una situazione politico-militare estremamente caotica.

All’inizio di questo mese centinaia di persone hanno marciato a Bangui in favore di una campagna per il riarmo dell’esercito regolare (isolato da quando i ribelli hanno preso il potere nel 2013).

I dimostranti, tra cui i membri del parlamento di transizione, hanno chiesto che l’esercito venisse riarmato e messo nelle condizioni di arrestare gli attacchi e gli scontri di ambo i gruppi ribelli, Anti-Balaka e Seleka (di cui sono state vittime almeno 100 persone a Bangui solo da fine settembre ad oggi).

Dopo i recenti attacchi – che hanno portato a rimandare le elezioni previste per lo scorso ottobre – è stato lo stesso presidente ad interim Catherine Samba-Panza a fare appello all’Onu affinché l’esercito venga riarmato, sostenendo che le forze di pace e le truppe francesi hanno fallito nella loro missione di proteggere i civili.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto un embargo sulle armi nel dicembre 2013 che consente alle forze di sicurezza governative di acquistare armi solo dietro approvazione di un comitato per le sanzioni.