Il governo ha fatto marcia indietro sull’emendamento Meloni (Pd) contenuto nel Ddl Madia di riforma della pubblica amministrazione in discussione in commissione Affari Costituzionali alla Camera.Si tratta di una misura liberticida che prevede il superamento del voto di laurea come requisito minimo per l’accesso ai concorsi pubblici (dove esistono) e l’affiancamento a criteri quali il voto medio per classi omogenee, la valorizzazione del dottorato di ricerca e, soprattutto, per atenei di provenienza dei laureati. A parere dello stesso deputato Pd autore dell’emendamento, quest’ultima norma è il risultato dell’intervento diretto del governo che ha provato a negare il valore legale della laurea e a imporre le discusse classifiche sulla «produttività» degli atenei stilate dall’Anvur quali criteri di accesso discrezionale a un diritto costituzionale.
«C’è la massima apertura a fare modifiche, in modo condiviso, o anche a cancellare l’emendamento al ddl P.A.» ha detto ieri il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia. Se approvata, la norma avrebbe sancito l’esistenza di università e studenti di «serie A e B» e rafforzato la sperequazione territoriale tra atenei «poveri» del Sud e quelli «ricchi» del Nord. Rettori, sindacati, studenti e dottorandi di ricerca hanno reagito con forza. «Approvarla – sostiene Alberto Campailla degli studenti Link – significa accettare l’esistenza di diversi livelli di laureati». «Le disparità esistenti sarebbero aggravate» ha confermato Francesco Sinopoli (Flc-Cgil). Il ritiro è stato (quasi) ottenuto. Molti ritengono che questosia solo l’antipasto della «Buona università» che dovrebbe essere servito in autunno. Per il governo c’è tempo per tornare all’attacco.