Gerusalemme Est stava vivendo una delle sue giornate più tese da molti anni a questa parte quando ieri le agenzie hanno battuto la notizia del riconoscimento ufficiale da parte del governo svedese dello Stato di Palestina nei territori di Cisgiordania e Gaza, occupati da Israele nel 1967. Al-Thuri (Abu Tor) era in fiamme, dalla notte prima, quando le forze speciali della polizia avevano ucciso in questo quartiere diviso a metà tra palestinesi ed israeliani, Muataz Hijazi, sospettato di aver sparato e feritomercoledì sera il rabbino Yehuda Glick, leader del gruppo ultranazionalista “I Fedeli del Monte del Tempio”. Il passo segue la decisione annunciata il 3 ottobre dal premier svedese Stefan Lovfen. «E’ un passo importante…Qualcuno dirà che è una decisione arrivata troppo presto, a me spiace sia arrivata così in ritardo», ha commentato il ministro degli esteri, Margot Wallstrom, in riferimento alle reazioni negative giunte a inizio mese da Israele e dagli Stati Uniti all’iniziativa annunciata dal suo Paese. Altrettanto negative sono state le reazioni di ieri del governo Netanyahu che ha prontamente richiamato per consultazioni l’ambasciatore israeliano in Svezia. Il ministro degli esteri Liebeman ha commentato con sarcasmo che Stoccolma deve comprendere che «la situazione in Medio Oriente è molto più complessa che non i mobili dell’Ikea».

 

Ben diverso il commento del presidente palestinese Abu Mazen che ha salutato con favore la decisione di Stoccolma e ha invitato altre nazioni a seguirne l’esempio. La Svezia si va così ad unire ai 134 paesi del mondo che hanno già riconosciuto l’esistenza dello Stato palestinese, ma è il primo in Europa occidentale a compiere un simile passo. Polonia, Slovacchia e Ungheria avevano già riconosciuto la Palestina, però prima di entrare a far parte dell’Ue.

 

A inizio ottobre la Casa Bianca che aveva definito “prematura” (sic) la decisione svedese: «Riteniamo che il riconoscimento internazionale di uno Stato palestinese sia prematura – aveva detto la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki – Noi sosteniamo il diritto palestinese allo Stato, ma questo può arrivare solo attraverso un negoziato (bilaterale con Israele)». Washington non vede altra strada che quella dell’estenuante e sterile negoziato che, a singhiozzo, sta mediando da oltre venti anni. Allo stesso tempo il riconoscimento del governo svedese, come quello giunto di recente dal Parlamento britannico, non pare destinato a sfociare in atti politici concreti. L’interesse che gli europei mostrano da qualche tempo verso il riconoscimento dello Stato di Palestina più che affermare il diritto dei palestinesi alla libertà e all’indipendenza sulla base delle risoluzioni internazionali, sembra volto a difendere la soluzione dei “due Stati”, alla quale ben pochi credono ancora. Il quadro reale sul terreno, con la colonizzazione israeliana che non conosce soste e la contrarietà del governo Netanyahu alla restituzione della Valle del Giordano ai palestinesi, lascia intravedere soltanto uno Stato di Palestina a macchia di leopardo, in porzioni limitate della Cisgiordania e senza sovranità reale.

 

Mercoledì sera il rabbino Yehuda Glick, leader del gruppo nazionalista dei “Fedeli del Monte del Tempio” è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco esplosi da un uomo vestito da motociclista. Glick, ora in gravi condizioni, era reduce da un dibattito sulle rivendicazioni ebraiche sulla Spianata della moschee, che stanno coalizzando diverse anime del nazionalismo religioso israeliano. Creando però forte preoccupazione e rabbia tra i palestinesi per lo status futuro delle moschee di Al Aqsa e della Roccia. Un blitz dei “Fedeli del Monte del Tempio”, in questo stesso mese di 24 anni fa, provocò incidenti gravi sulla Spianata: 20 palestinesi furono uccisi dai fucili della polizia israeliana.

 

Dopo l’agguato di mercoledì sera al rabbino Glick, la polizia ha puntato quasi subito la sua attenzione su Moataz Hijazi che lavorava nel ristorante del Centro Begin dove era in corso il dibattito. Il palestinese, 32enne, secondo gli israeliani sarebbe stato un militante del Jihad Islami (ad al-Thuri non confermano). Un’unità speciale ha circondato la sua abitazione intorno alle 2.30 di notte. A questo punto ci sono due versioni. Testimoni palestinesi riferiscono che gli agenti hanno fatto fuoco subito contro Hijazi e parlano di una “esecuzione sommaria”. La polizia smentisce e sostiene che il palestinese avrebbe opposto resistenza alla cattura e gli agenti sarebbero stati costretti a sparare. L’agenzia di stampa palestinese Maan afferma che Hijazi è morto dissanguato dopo essere stato lasciato a lungo sul terreno e che alcuni giovani che volevano prestargli soccorso sarebbero stati allontanati dalla polizia. Subito dopo sono cominciati scontri tra palestinesi e polizia che sono andati avanti per tutto il giorno, anche nel vicino quartiere di Silwan.

 

Alla tensione nelle strade si è aggiunto un nuovo round di scambi di accuse tra Israele e Anp. Il premier Netanyahu ha ripetuto che dietro le violenze a Gerusalemme ci sarebbe «l’incitamento da parte di elementi islamici radicali e del presidente dell’Anp Abu Mazen che ha dichiarato che occorre impedire con tutti i mezzi agli ebrei di entrare nel Monte del Tempio». Pronta la replica di Abbas che ha descritto come un «atto di guerra» la decisione israeliana di chiudere l’accesso alla Spianata delle Moschee (non accadeva dall’inizio della seconda Intifada, nel 2000). Ieri sera la polizia ha annunciato che il luogo santo islamico sarà riaperto oggi.