Mille giorni così sono veramente tanti. Il “soldato Ryan” (Renzi) non sembra nemmeno il presidente del consiglio. Qualcuno ha sentito chiarimenti circa la manovra da 22 miliardi per il 2015?

Il paese è caduto in recessione, in Europa si aggira lo spettro della deflazione, con una disoccupazione reale (italiana) di oltre 6 milioni di persone. Le prospettive di crescita per il 2014 sono negative e quelle per il 2015 potrebbero diventare drammatiche.

Renzi vuole il lavoro italiano come quello tedesco? Si potrebbe iniziare con orari e salari: rispettivamente 1.396 al posto delle 1752 ore, e salari medi annui, a tassi di cambio e prezzi costanti del 2012, in dollari, da 36.763 a 45.287. Abbiamo il sospetto che il premier non farà niente del genere.

Riforme strutturali? Aspettiamo la legge di stabilità e poi discutiamo. Per ora non rimane che lo «Sblocca Italia», una riforma annunciata che dice molto su come il presidente del consiglio vuole aiutare il Paese.

Il così detto «Sblocca Italia», in realtà, riguarda prevalentemente l’accelerazione e la realizzazione di opere già approvate, e ha la pretesa di avere effetti positivi in ordine ai problemi reali del Paese e la capacità di stimolare lo sviluppo.

Solo a luglio, il presidente del consiglio parlava di 43 miliardi di euro, diventati 10 nella conferenza stampa e 3,8 miliardi nel decreto legge. Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, prevede non meno di 100 mila nuovi posti di lavoro per le sole opere pubbliche.

Le risorse disponibili, vere, sono 3,8 miliardi di euro, di cui 840 milioni arrivano dal fondo revoche di opere bloccate e 3 miliardi dal “bancomat” del Fondo sviluppo e coesione. Praticamente 38.000 euro per lavoratore, anche se non contabilizza la variazione del reddito (Pil). Fatto abbastanza anomalo visto che stiamo impegnando risorse in conto capitale.

L’idea poi di sviluppo è tutto nel pacchetto made in Italy fatto di stimoli alle esportazioni e agli investimenti diretti esteri. Con poco meno di 220 milioni di euro nel triennio (2015-17), il Paese dovrebbe espandere la propria quota di commercio internazionale di 50 miliardi e attrarre non meno di 20 miliardi di investimenti diretti esteri, con una crescita del prodotto interno lordo di un punto percentuale. Insomma: 220 milioni permetterebbero una crescita di 15 miliardi. Gli economisti keynesiani dovranno passare molto tempo a riscrivere il moltiplicatore. Il nostro premier impone una nuova formula del moltiplicatore?

Ovviamente non manca il rifinanziamento della così detta cassa integrazione in deroga per 720 milioni, che porta il fondo a 1.720 milioni per il 2014. Invece di avviare una riforma seria, si continua a rifinanziare lo strumento che dovrebbe, in realtà, agganciarsi a una generale rivisitazione degli strumenti a sostegno del lavoro. È una materia delicata, ma passare da ri-finanziamento in ri-finanziamento una tantum non è proprio quello che chiedono i lavoratori colpiti dalla crisi.

Ma qualcosa dalla conferenza stampa di ieri e dal decreto legge lo possiamo intravvedere: lo sviluppo e la crescita dell’Italia passa attraverso l’edilizia e le opere pubbliche. Il governo non ha proprio compreso che gli investimenti in conto capitale hanno una logica economica solo nella misura in cui modificano il segno del Pil (come spiega efficacemente l’economista Sylos Labini) e, quindi, anticipano la domanda futura.

Assegnare all’edilizia, alle opere pubbliche la crescita del Paese nell’era dell’innovazione tecnologica, appare come la peggiore politica che si possa immaginare. Ormai il commercio internazionale manifatturiero legato all’alta tecnologia vale il 30% del totale, mentre le imprese italiane si posizionano al 10%. Come può il Paese aumentare la quota di commercio internazionale di 50 miliardi di euro? Come potrebbe attirare investimenti diretti esteri se la spesa in ricerca e sviluppo privata è la più bassa tra i paesi di area Ocse? Misteri del nostro presidente.

Indiscutibilmente l’edilizia attraversa una fase di grave crisi, ma l’edilizia, più o meno alimentata da incentivi, era sproporzionata rispetto alla necessità del Paese. Riproporre le stesse opere e anticiparne delle altre, significa alimentare la rendita, non lo sviluppo del Paese. Ripeto: la rendita, non il reddito (Pil).

L’impressione è quella di un governo in piena confusione nella migliore e positiva interpretazione. La politica economica del governo risiedeva in tutto o in parte nei famosi 80 euro. Il bonus fiscale ha fallito per un semplice e banale fatto: mentre i miliardi sottratti alla pubblica amministrazione, per alimentare il bonus fiscale, erano risorse certe e quindi Pil, gli 80 euro erano e sono risorse incerte; diventano reddito (e cioè Pil) nella misura in cui i cittadini decidono di spenderli. La caduta del prodotto interno lordo del secondo trimestre altro non è che il taglio della spesa pubblica.

Il quadro però non è completo. Con la legge di stabilità arriverà il pacchetto municipalizzate e spending review. Sappiamo che il governo ha iniziato un lavoro di modifica delle aliquote Iva. Sarà un pacchetto amaro, fondato su luoghi comuni e pesanti ripercussioni sui lavoratori.

Il presidente di Confindustria ha detto, durante il meeting di Comunione e Liberazione, che l’Italia ha vissuto al di sopra dei propri mezzi. A queste condizioni è difficile immaginare di uscire dalla depressione.

Speriamo di sbagliare, ma il 2015 potrebbe diventare un altro anno orribile. Paolo Pini, di recente sul manifesto, si era già spinto in questa previsione. Speriamo di avere torto, ma i segnali ci sono tutti, con l’aggravante di avere Renzi al governo.