È un musicista vivo quello restituito da Christoph Wolff nel suo recente Mozart sulla soglia della fortuna (Edt, pp. 224, euro 22), un volume che scrosta gli stereotipi che presentavano il compositore di Salisburgo in modo romanzesco, rendendolo incomprensibile più che enigmatico, soffocato da un alone leggendario, che lo voleva romanticamente olimpico e melanconico, oppure più modernamente libertino, filosofo e al contempo scurrile, rivoluzionario e, perché no, libero professionista o imprenditore.
Musicologo tedesco di cui in Italia sono stati tradotti negli ultimi anni una notevole monografia su Johann Sebastian Bach (Bompiani, 2003) e il bellissimo Il Requiem di Mozart (Astrolabio, 2006) di cui questo nuovo volume appare la logica prosecuzione, Wolff colpisce per la taumaturgica capacità di passare dalla musica, alla storia, alla società, alla biografia, al sistema produttivo musicale con una sicurezza e una solidità d’impianto che fa impallidire certa disinvolta musicografia, oggi tanto di moda.

«Sono sulla soglia della fortuna» è la frase d’attacco del suo libro: Mozart l’aveva pronunciata nel 1787 dopo essere stato nominato dall’imperatore Giuseppe II «Kompositor» ben remunerato per la musica da camera della corte imperialregia.
Un punto di partenza non casuale, per ricostruire gli ultimi quattro anni della vita del musicista (1788 – 1791), spazzando via molti fraintendimenti e leggende su un Mozart libero professionista, vuoi per scelta, vuoi perché incompreso da una corte viennese mediocre e invidiosa.

A carattere più storico-biografico, i primi tre capitoli del libro grazie a una copiosa documentazione e una eccellente ricostruzione del contesto storico e sociale, seguono le traiettorie professionali di Mozart, da sempre desideroso di un riconoscimento ufficiale, orgoglioso di averlo ottenuto come «Kompositor», alla ricerca di nuove cariche anche fuori dall’Austria, praticamente ottenute con l’impegno ufficiale a farlo diventare anche «Kapellmeister» della cattedrale di Santo Stefano a Vienna, mentre giungevano cospicue offerte perfino dall’estero: correva il fatidico 1791, anno che, seguendo il ragionamento di Wolff, sembrava dover segnare un nuovo inizio nella vita del musicista e invece fu quello della sua morte.

Svapora così anche l’immagine del compositore incompreso, sfigato e bohémien, sempre in bolletta: in realtà Mozart, come viene ricostruito con dovizia di documenti e non senza divertita malizia, guadagnava bene ma, dicono le evidenze, tra abitazioni lussuose, carrozze e cibo spendeva anche meglio – in appendice un pertinente schema su redditi, prezzi e affitti nella Vienna dell’epoca.
Resta da stabilire perché dal 1787 Mozart avesse perso molte delle commissioni dei suoi patroni della nobiltà viennese. Il motivo spiega Wolff risiederebbe soprattutto nella guerra contro la Turchia in cui l’impero asburgico era stato trascinato dalla Russia, che ottenne nel 1794 l’annessione della Crimea (terra, come si vede in tempi recenti, su cui ancora si guerreggia). L’aristocrazia austriaca, impegnata fisicamente ed economicamente sui campi di battaglia, era dunque niente affatto incline a commissionare musica e finanziare serate cui non poteva partecipare.
Dunque da una parte i riconoscimenti ufficiali, dall’altra il conflitto: come reagì Mozart al nuovo clima? A questo rispondono i tre capitoli finali di Mozart sulla soglia della fortuna, dedicati alla musica degli ultimi anni di vita del compositore (1788 – 1791).

Sono pagine intriganti e, in linea di massima, abbordabili anche dai non specialisti: Wolff, scartabellando tra gli schizzi e le partiture incompiute di Mozart, traccia tre diverse direzioni: la musica sinfonica da camera; la musica teatrale; infine, il ritorno alla musica sacra.
Ma soprattutto identifica il comune denominatore dell’ultimo Mozart in un linguaggio musicale innovativo, fatto di soluzioni sempre più raffinate e colte ma usate in modo facile e trasparente. Uno stile non privo di contraddizioni, che Mozart stava elaborando con lucidità e fatica, tra qualche incomprensione con il pubblico, ma anche splendide affermazioni, come Die Zauberflöte, il suo vero grande successo.

Alla fine degli anni ’80 del Settecento, Mozart era davvero, come pensava, sulla soglia della fortuna? Il merito maggiore del libro è averlo riportato nei suoi panni, quelli di musicista e non di mito, aprendo nuove prospettive di ricerca e di approfondimento, da vagliare e proseguire nei prossimi anni.