I voti dovrebbero non essere più un problema, con l’annunciata formazione del gruppo di senatori «verdiniani» il disegno di legge di revisione costituzionale che da sedici mesi impegna il parlamento si avvia a riconquistare quel sostegno della destra berlusconiana che è già servito a vincere le resistenze di qualche senatore Pd. Lo dice anche la ministra delle riforme Boschi: «Il sì di Verdini? Non c’è nessuna novità». Scontato il voto – almeno in aula – tutto il resto per la riforma del bicameralismo, alla quale Renzi ha legato il suo destino di governo e intende affidare gli ultimi fuochi attraverso un referendum-plebiscito alla fine del 2016, resta un problema. A cominciare dal cuore del provvedimento: la cancellazione dell’elezione diretta dei senatori, approvata in «doppia conforme» dal senato e dalla camera grazie a una delle tante imposizioni di governo (sul punto era infatti passata una modifica in commissione a Montecitorio). Tornare indietro a questo punto è difficile, stando alla lettera dei regolamenti, ma non impossibile come molti costituzionalisti spiegano da tempo. La decisione è in mano al presidente del senato Grasso, che se vuole può pensarci tutta l’estate dal momento che le turbolenze nella maggioranza – e non una generosa concessione – hanno consigliato a Renzi il rinvio a settembre.

Intanto avanza lentamente il lavoro in commissione, dove ieri è intervenuto il presidente dei senatori Pd Zanda per dire che si può trovare «una forma di elezione dei nuovi senatori che ampli il consenso nella maggioranza e fuori dalla maggioranza (Verdini, ndr)». Una «forma» che nelle intenzioni dei renziani dovrebbe tenere insieme la fine dell’elezione diretta con un «contentino» agli elettori, ai quali andrebbe lasciata la possibilità di indicare una lista all’interno della quale i consiglieri regionali dovrebbero poi scegliere i senatori. Tentativo spericolato di stabilire un principio costituzionale per poi cercare di negarlo con legge ordinaria, rimandando tra le altre cose l’entrata in funzione del nuovo senato (oppure prevedendo una fase di differente legittimazione per i senatori). La minoranza bersaniana del Pd (che può esprimere tre decisivi voti in commissione) non intende accontentarsi. Vannino Chiti anzi drammatizza l’eventuale «soccorso» di Verdini, altro che nessuna novità: «Una modifica nella maggioranza che sostiene il governo richiederebbe le verifiche che la Carta e le regole parlamentari esigono», prima fra tutte un passaggio del presidente del Consiglio per il Quirinale e una nuovo fiducia in parlamento.

Niente di impossibile per Renzi, al quale però non farebbe certo piacere rendere ufficiale il sostegno dell’ex braccio destro di Berlusconi. Da qui il richiamo alla disciplina di Zanda, al quale in passato non si sono dimostrati insensibili i «dissidenti» del Pd: «Sostituire pezzi di maggioranza con nuovi apporti dall’opposizione è impossibile se la maggioranza resta salda».
Saldezza che però non si può chiedere agli esperti della materia, i costituzionalisti che da ieri e ancora per due giorni saranno ascoltati dalla commissione. Fatta eccezione per Ceccanti e Calderisi, professore di area renziana il primo, tecnico nell’orbita del Nuovo centrodestra il secondo, la bocciatura del disegno di legge di riforma continua a essere netta e ieri l’hanno espressa l’avvocato Besostri (che si può leggere qui accanto) e i professori Villone, Tondi della Mura, Scaccia, Mangiameli e Silvestri. Quest’ultimo, ex presidente della Corte costituzionale, ha criticato il senato dei consiglieri regionali e dei sindaci così com’è proposto dal governo, «una brutta copia della camera dove la rappresentanza territoriale viene fatta passare attraverso il filtro politico, destinata a diventare come in Austria un secondo ramo irrilevante». E Silvestri, che era presidente della Consulta quando fu dichiarato illegittimo il Porcellum, ha bocciato anche la novità delle leggi elettorali sottoposte al vaglio preventivo dei giudici costituzionali, un giudizio «astratto» e a priori che rischia di legare le mani alla Consulta, o di costringerla a valutazioni incoerenti