«Al posto dei Corazzieri metterò il coro dell’Antoniano». Ma poi, trovando il piccolo gesto iconoclasta inadeguato, si sarebbe dimesso da Presidente. «Non sono in grado di stare al Quirinale» ha detto ieri Giancarlo Magalli al termine di un flash mob dalle parti del Colle più alto dov’è stato lanciato in cielo da un piccolo gruppo di fan di facebook festanti. La sua previsione di prendere «cinque o sei voti» in aula è stata smentita. Ne ha preso solo uno, come Arnaldo Forlani (candidatosi inutilmente al Quirinale). Ed è stato battuto da Ezio Greggio che di voti ne ha presi due.

Presentatore Tv, già animatore del primo villaggio turistico italiano negli anni Sessanta, maggiore della polizia municipale di Roma, carabiniere onorario e commendatore della Repubblica, ha trionfato nelle «quirinarie» del «Fatto quotidiano» con più di 24 mila voti (10 mila in più di Stefano Rodotà), ma non è riuscito a convincere il Movimento 5 Stelle a votarlo. Una persona comune contro il sistema della politica, il «magna magna». «Uno di noi», urlavano ieri i suoi sostenitori. E poi: «Chi non salta Pippo Baudo è». Una precisa scelta di campo in un paese che si orienta in base a chi ha occupato la prima serata Tv dagli anni Ottanta. Prodotto genuino dell’immaginario formato famiglia targato Rai con «Lascia e Raddoppia», «Papaveri e Papere», lo «Zecchino d’oro» o «Mi gioco la Nonna», Magalli ha preso sul serio la candidatura.

A differenza di Tabacci, protagonista involontario (ma divertito) dell’intellettualissimo cult per storici del socialismo «Marxisti per Tabacci», Magalli ha voluto così incarnare il messaggio dell’antipolitica. Si è esposto di persona, scrivendo il suo messaggio quotidiano alla nazione dei sommersi, e dei senza voce, sul blog «Giù dal Colle» sull’Espresso. In realtà i suoi toni sono meno che urlati. Magalli evoca un «uomo probo» al Quirinale. Giudica un cattivo esercizio di democrazia votare scheda bianca. Si augura in fondo che la voce «dei ragazzi», prima telespettatori poi suoi fan su facebook, venga raccolta. «Per arrivare poi a un buon Presidente della Repubblica. Che non sarò io, per fortuna». Ma il grillismo non ha colto la «provocazione», scegliendo con Imposimato un’altro immaginario.

Al di là della persona, degnissima, è l’immaginario della magistratura, della legalità, del tutti a casa, se è possibile in manette. E cacciati dalle principesche dimore con le monetine. Come Craxi dall’hotel Raphael. Magalli ha voluto incarnare invece la «forza tranquilla» dell’uomo comune nel paese più televisivo al mondo. E ha indicato la via malinconica ad una normalità «repubblicana» che è ormai perduta (per colpa dei «politici», della loro «casta», della «decadenza»), ma può, e deve tornare ad un’età dell’oro. Sugli schermi davanti al Tg, alla trasmissione dei pacchi o al talk show educato.

Amplificato da una campagna mediatica che fa di solito sponda agli argomenti impolitici e neutralizzanti della critica alla casta, la forza tranquilla del Magalli Presidente ieri ha concluso la sua corsa: «Il mio è un messaggio contro la nomenclatura, contro le candidature al Quirinale di politici che i ventenni non riconoscono» ha lasciato detto ai posteri. Poi, come nel film «Benvenuto Presidente!» dove il presidente per caso Peppino Garibaldi (Claudio Bisio) viene eletto e governa circondato dai Corazzieri, e non dall’Antoniano, ha lasciato la scena. Il suo popolo continua la ricerca di un eroe all’ora di cena.