Il corridoio di terre tra il Tigri e l’Eufrate, il cuore della Mezzaluna Fertile, oggi è ridotto ad un cimitero. La macabra scoperta di ieri aggiunge morte alla morte: 72 fosse comuni, lascito dell’occupazione dello Stato Islamico, sono state individuate tra Siria e Iraq. Sarebbero 15mila i cadaveri, secondo un primo bilancio dell’Associated Press che si basa sulla visione di mappe, documenti forniti dai funzionari locali e testimonianze dei sopravvissuti.

Uno dei marchi di fabbrica dell’Isis che ha governato (e in parte governa) il fascio di terre da Ramadi e Fallujah a est a Palmira e Raqqa a ovest, con punizioni corporali, divieti, tasse in cambio della sopravvivenza. E in molti casi massacri: il primo, noto come la strage di Camp Speicher, risale a due giorni dopo la presa di Mosul, il 12 giugno 2014. Tra 1.500 e 1.700 cadetti sciiti dell’esercito iracheno vennero giustiziati a Tikrit, appena caduta in mano islamista.

Due mesi dopo, ad agosto 2014, 700 membri della tribù siriana al-Sheitaat – per lo più civili – vennero brutalmente uccisi nella provincia di Deir Ezzor (ancora oggi in mano all’Isis) per non essersi piegati alla legge del “califfo”. Molti di loro furono decapitati, i corpi ritrovati in fosse comuni poco dopo. Il resto della tribù, 70mila membri, fuggì lasciando la terra agli islamisti.Diciassette delle fosse individuate oggi si trovano in Siria e almeno una contiene i resti di alcuni al-Sheitaat. Già ad aprile l’esercito governativo siriano aveva trovato una fossa comune a Palmira, dopo averla liberata: all’interno i corpi di 42 persone, alcune decapitate.

Pochi giorni dopo la tentata cancellazione della tribù al-Sheitaat iniziò il calvario del popolo yazidi, mai terminato. Con l’occupazione della zona di Sinjar e della strategica piana di Ninawa, in centinaia di migliaia furono costretti alla fuga e all’assedio. E se molti arrivarono stremati ma vivi nel Kurdistan iracheno, in migliaia furono giustiziati mentre donne e ragazzine venivano trasformate in schiave sessuali vendute al mercato di Mosul. Oggi sono i sopravvissuti a quel genocidio a chiedere la tutela delle fosse comuni yazide ritrovate dopo la liberazione di Sinjar, almeno 25: abbandonate al degrado perché difficili da salvaguardare, rischiano di scomparire insieme alla memoria delle stragi.