Raccontare il passato, tramandarne l’eredità, sono operazioni complesse che vanno ben oltre il campo della storiografia. Quando poi si vuole trasmettere il sapore di una vita vissuta lo strumento del saggio analitico risulta quasi impraticabile. Bene ha fatto quindi Giovanni Zucca in questo lavoro sperimentale (Pietro Ingrao, mio fratello, L’Asino d’oro): una biografia solidamente documentata ma scritta in forma di romanzo, anzi di sceneggiatura cinematografica, in cui attraverso la voce narrante della sorella Giulia il tempo lungo della storia si incrocia di continuo con il presente del «regista» e della sua interlocutrice.

IN UNA FITTA e rapida serie di fotogrammi scorrono gli anni dell’infanzia di Pietro a Lenola e Formia, quelli della passione (condivisa con la sorella) per il cinema e la poesia e poi dello choc causato dalla guerra di Spagna, gli anni della scoperta del comunismo e dell’organizzazione della lotta antifascista, e così via fino alla caduta del muro di Berlino e l’esplosione della crisi della sinistra. In certi passaggi il racconto procede troppo spedito, soffermandosi comunque sulla complessità di alcuni snodi della vita politica di Ingrao: per esempio, il difficile rapporto con Togliatti durante la direzione dell’«Unità» e in occasione dei fatti di Budapest del 1956. Ma soprattutto il libro ha il merito di mettere sulla scena l’uomo Ingrao, con le sue debolezze e le sue passioni.

È un Ingrao militante totale che non perde mai d’umanità, l’«eroe riluttante» che in guerra si trova costretto ad assumere il ruolo del dirigente clandestino, l’anti totus-politicus per eccellenza che coltiva rapporti con Vittorini e Visconti e che si mostra capace di ascoltare la società e comprendere quel cambiamento degli anni Sessanta che sta spiazzando il suo partito.

Chi scrive non ha vissuto il Pci d’Ingrao e ha «conosciuto» la sua figura attraverso un altro racconto di taglio autobiografico (Volevo la luna, Einaudi), che si inserisce oggi a pieno titolo tra la memorialistica di riferimento sulla vicenda politica repubblicana. In quel libro e ora nel racconto di Zucca, nel suo dialogo con Giulia e nei tanti passaggi di raffronto tra i sentimenti dell’autore, il passato della famiglia Ingrao e il presente del Paese si percepisce il senso di una frattura storica che sembra impedire un vero passaggio del testimone.

EPPURE, è innegabile che le scritture, e in particolare le memorie, tengono aperta una finestra sul passato che permette a chi lo desidera di maturare quantomeno uno sguardo critico sul presente. Nel linguaggio di Ingrao concetti come «modernità» «cultura» e «progresso» avevano significati altri da quelli correnti nel dibattito politico. Erano parole pesanti, un campo di battaglia e talvolta un terreno d’incontro, come negli anni del dialogo con la contestazione cattolica e le nuove sinistre. Leggere di Pietro e Giulia non è quindi solamente un tuffo appassionante nel passato, ma anche un esercizio utile per chi crede necessario reintrodurre lemmi dimenticati e ripensare il vocabolario del nostro tempo.