Sembrerà strano che critichi la pratica dello scrivere manifesti su un giornale che con il suo stesso nome celebra tenacemente una tradizione iniziata con lo straordinario, quasi poetico, documento scritto da Marx e Engels nel 1848, ma il caso di cui voglio parlare riguarda il mondo della critica letteraria americana, in un momento di grande debolezza degli studi umanistici, dopo le rumorose «guerre culturali» che percorsero quel mondo fra gli anni ottanta e il nuovo millennio, mescolando strutturalismo e post-strutturalismo, decostruzione, neo-storicismo, femminismo, queer studies, multiculturalismo e studi post-coloniali.

Mi riferisco al Manifesto of the V21 Collective che propone una nuova battaglia per denunciare i difetti del passato e annunciare un nuovo futuro: articolato in dieci tesi, è stato lanciato da un gruppo di giovani studiosi che si raccolgono sotto la sigla V21 ed è stato pubblicato sul sito V21collective.org, discusso in un simposio tenuto all’Università di Chicago nell’ottobre 2015 e in parecchi altri convegni e accompagnato, sul sito, da interventi e discussioni raccolti nell’archivio Syllabus bank.

Il collettivo è costituito da studiosi di letteratura inglese che, come avviene nel sistema americano, sono divisi in molte tribù: questi lavorano nel campo specialistico della «letteratura vittoriana». Alcuni di loro, come Benjamin Morgan (studioso dei rapporti fra letteratura e scienza, estetica materialista e biologia evoluzionista), lavorano all’Università di Chicago, altri in altre università americane; sono tutti agli inizi della carriera, ma hanno coinvolto anche studiosi più anziani, come Alex Woloch di Stanford, studioso di Orwell, Isabel Hofmeyr, specialista sudafricana della cultura imperiale britannica, o Bruce Robbins, dell’Università Old Dominion, autore fra l’altro di un libro sul tema: Atrocità nel romanzo, atrocità nella storia.

Le abitudini del passato contro cui sono indirizzate le frecciate del manifesto si riassumono nella formula: «storicismo positivistico», cioè tendenza alla pura e semplice raccolta di dati d’archivio (oggi incrementata dall’uso degli strumenti di raccolta digitali).

Le parole d’ordine che vengono lanciate sono: nuova attenzione allo specifico letterario, «presenzialismo» (cioè lettura dei testi fatta tenendo conto dei problemi, politici e culturali, dell’oggi), «interdisciplinarietà», con un’accentuata attenzione alla storia politica e militare, alla scienza, all’evoluzionismo, alla vita degli animali, e così via. Colpiscono, al di là delle buone intenzioni dei giovani apparteneti al collettivo e della giustezza delle loro rivendicazioni, due elementi:

  1. la forte ristrettezza dei loro interessi (solo la cultura inglese, solo la cultura vittoriana);
  2. la ripetitività e ritualità della loro battaglia, che echeggia quelle di tante generazioni precedenti, e rende l’idea stessa del «manifesto», fatte le dovute proporzioni, abbastanza obsoleta: un evento generazionale.