«È la riforma Renzi-Verdini»: al Senato lo ripetono un po’ tutti gli esponenti di ogni opposizione, in aula e fuori. Esagerano, però per difetto, non per eccesso. Non solo la riforma della Carta ma l’intera legislatura andrebbe targata coi nomi dei due fiorentini. L’amico di famiglia che supporta il giovane Matteo sin dai tempi della candidatura a sindaco, quando fece l’impossibile per schierargli contro un candidato con la sconfitta in tasca, ha tenuto a battesimo il patto del Nazareno, con annessa nascita del governo Renzi, e ha impedito che franasse molto prima dell’elezione di Sergio Mattarella. Il varo della riforma porterà la sua firma: i numeri possono essere o non essere determinanti, ma la presenza politica lo è di certo. Senza la sua truppa mercenaria, il pargolo di palazzo Chigi avrebbe dovuto mediare con la minoranza del Pd invece di umiliarla.

L’armata di dissuasione si rivelerà preziosa anche in futuro, quando si tratterà di tenere a bada i sempre più insoddisfatti seguaci di Angelino Alfano. Grazie a disperati che si sono appigliati al taxi di Denis per essere traghettati da un capataz all’altro, i cospiratori dell’Ncd non saranno più determinanti per la sorte del governo. Non andranno oltre qualche pigolio.

A Denis Verdini Matteo Renzi deve, se non proprio tutto, certo moltissimo. Ma la cambiale arriverà a scadenza, e i legami tra i nuovi padri della patria sono troppo antichi e stretti perché il pur disinvolto Matteo possa sperare di liquidare il socio con un brusco benservito. In realtà se mai Renzi si deciderà a ritoccare il suo Italicum, come secondo alcune insistenti voci sarebbe tentato di fare, non sarà per la gioia della sua odiata minoranza e neppure per accontentare Arcore, ma per evitare di presentarsi nelle urne al volgo con un simbolo bianco, rosso e Verdini. Per gli elettori del Pd già il bianco sarebbe un boccone poco digeribile: il sorrisone a tempo pieno di Angelino forse ancora ancora lo ingoierebbero, ma andare oltre sarebbe proibitivo. Il rosso del Pd, ridotto ormai a un sempre più lontano e sbiadito ricordo, dovrebbe ancora spingere molti a votare col proverbiale naso turato, ma sull’accostamento con gli orfani di Lombardo e Cosentino i sondaggi non autorizzano illusioni. Il prezzo in termini di voti sarebbe infatti salatissimo.

Le cose andrebbero un po’ meglio, ma neppure troppo, se i mercenari dessero vita a una lista di «Moderati per Renzi», ed è questa l’unica e peraltro esigua speranza di chi invoca una revisione della legge elettorale con passaggio del premio di maggioranza dalla lista alla coalizione.

Ma in entrambi i casi, quella vicinanza resta pericolosissima, probabilmente esiziale. E proprio su questa carta sta puntando la minoranza del Pd, sperando di trasformare la debolezza che ne ha decretato la sconfitta nello scontro di questi giorni sulla riforma in punto di forza. Per i ribelli del Nazareno l’ingombrante presenza del “taxista” è stata sin qui una rovina, ma si potrebbe rovesciare in una risorsa. Chiunque sia passato, nelle settimane scorse, per una Festa dell’Unità ha dovuto registrare un’ostilità indomabile per l’assurdo accostamento con il peggio di Forza Italia. Gli effetti sui forzieri elettorali del segretario e premier si potrebbero vedere già in primavera, alle prossime elezioni amministrative, e a quel punto le scosse non tarderebbero a raggiungere il Nazareno.

Per questo oggi i nemici del premier all’interno del suo partito pensano di avere una sola carta da giocare: spingere sempre più Matteino tra le braccia capaci di Denis.