Prima ancora che Miss Peregrine desse loro una casa un po’ thriller (e poi Tim Burton anche un volto e una personalità su schermo con il suo film Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, ancora nelle sale italiane), i bambini stravaganti narrati dal californiano Ransom Riggs si aggiravano già lungo i pendii scoscesi dell’immaginario, nutrendolo con le loro fiabe dark: Tales of the peculiar, ossia I racconti degli speciali uscito presso Rizzoli (con le bellissime illustrazioni dell’autore inglese Andrew Davidson, pp.202, euro 18, traduzione di Bérénice Capatti), è immaginato come fosse un’antologia curata da un ex ospite della casa-orfanatrofio, il signor Millard Nullings, filologo e caparbio studioso che va a ripescare leggende millenarie. Unica sua particolarità, è invisibile ai più, ma si considera comunque la «testimonianza vivente della durevole utilità di queste storie, benché siano state scritte molti anni fa».

Se Miss Peregrine (ne è nata una trilogia) ha venduto milioni di copie ed è stato inserito fra i cento libri che ogni Young Adult dovrebbe leggere nel corso della sua vita, questo stralunato viaggio che fruga nel passato, nelle origini degli «speciali», può considerarsi un’immersione spaziotemporale in un mondo alla rovescia. Dove, una volta giunti nel remoto villaggio Swampmuck, alcuni forestieri costretti per natura al cannibalismo, sebbene facoltosi (hanno stretto un patto con il re per cui pagano profumatamente arti mozzati in incidenti e cibarsene), possono soffrire la fame e rischiare di morire. Ma sarà proprio un principio di accumulo capitalista a scongiurare la loro fine e a segnare una nuova esistenza – assai «mutilata» – per tutti gli abitanti del paese.

In queste narrazioni raccolte dal misterioso Nullings, oltre alla principessa che nasconde una schiena piena di squame e una lingua biforcuta da rettile che spruzza un acido fatale (che nessuno vuole in sposa probabilmente temendo di venir avvelenato al primo litigio) troviamo anche una «ymbryne», un uccello (forse un astore) capace di trasformarsi in donna. Oppure una ragazza, Lavinia, in grado di fugare gli incubi tirandoli via dal naso, la gola, le orecchie dove si sono rintanati per passare la notte come masse vischiose. Poi si fa anche la conoscenza di Fergus, piccolo pescatore che può controllare le maree e la corrente semplicemente con una serie di ansimi e forti grugniti.

Con un campionario di tale entità si capisce bene come solo un regista del calibro di Tim Burton avrebbe potuto portare al cinema quegli esseri con doni soprannaturali, fuoriusciti da una penna indecisa tra le atmosfere gotiche e l’ironia pungente che attraversa quelle creature fantastiche riancorandole alla realtà. Burton ha confessato di essere stato colpito soprattutto da una mania dello scrittore Ransom Riggs: come lui, colleziona fotografie e a partire da quelle immagini, inventa storie fuori dal comune.

L’autore del libro ha tenuto a dire che la sua stessa infanzia è stata costellata di presenze «peculiari», prima fra tutti quella della nonna che, benché figlia di un contadino e divenuta a sua volta moglie di un fattore, aveva studiato, insegnava latino e aveva tramandato al nipote l’amore per la lettura. Già, ma quali letture? Riggs ha divorato Lewis Carroll, Tolkien e Stephen King: «Non l’ho mai considerato un autore horror, ma un vero esploratore di altri mondi».