Bashar al-Assad non ha intenzione di arrendersi: con due terzi della Siria controllate da forze antagoniste al governo e le Nazioni Unite libere dai veti incrociati di Usa e Russia, il presidente si aggrappa alle sue roccaforti. Lo fa con l’esercito che gli rimane, rimpizato di forze fresche dopo un calo preoccupante dei soldati a disposizione, fuggiti, unitisi ai ribelli, morti o feriti.

Il campo di battaglia resta il nord-ovest: dopo il lancio nei giorni scorsi dell’operazione “Terremoto”, martedì sera le truppe governative hanno ripreso quattro villaggi caduti in mano ad al-Nusra nella piana di Sahl al-Ghab, provincia di Hama. Una zona strategica sia dal punto di vista militare che simbolico: la piana apre la strada verso Latakia e la costa, zone da sempre fedeli alla famiglia Assad che là ha le sue radici.

Centro degli scontri restano anche Zabadani al confine con il Libano (dove a combattere i qaedisti sono gli uomini di Hezbollah) e Douma, periferia di Damasco, per il terzo giorno target dei jet militari del governo. Un attacco sanguinoso quello contro Douma che ha sollevato le proteste dell’Onu e del suo inviato Staffan de Mistura. Ieri Assad – che non ha ancora commentato il nuovo piano di pace del Palazzo di Vetro, che non specifica l’eventuale ruolo futuro del presidente – ha accusato De Mistura di mancare di oggettività e di aver abbandonato la sua tradizionale neutralità.

Reazioni al piano Onu sono invece arrivate dalle opposizioni moderate. La Coalizione Nazionale non ha fatto mancare il suo plauso all’iniziativa di pace, ma ha espresso gli stessi dubbi degli osservatori esterni: Assad sarà parte del negoziato o no?

Dovrebbe stupire, però, la quasi totale scomparsa dalla narrativa occidentale e regionale della minaccia rappresentata dallo Stato Islamico. Come non esistesse o fosse un problema marginale, ovviabile con la soluzione della questione Assad. Ma è l’Isis – solo sfiorato dalla strategia militare Usa e da quella della Turchia – che continua ad avanzare. E a colpire i pochi bastioni rimasti al suo dilagare: ieri i kurdi siriani sono stati nuovamente attaccati da un attentatore suicida mandato dal “califfo”. Almeno 11 persone sono morte nell’esplosione di un camion fuori da una stazione della polizia kurda (ribattezzata Asayish), nella città di Qamishli, controllata per metà da Assad e per metà dall’amministrazione autonoma kurda.