I giornalisti si sentono un po’ come gli operai della siderurgia degli anni ’80, ostaggio di un settore in crisi, ma i miliardari hanno invece deciso di giocare con i media una grande partita di Monopoli.

Succede in Francia.

L’ultima mossa è stata annunciata dal proprietario dell’operatore telecom Free, Xavier Niel e dal banchiere Mathieu Pigasse (proprietario di Radio Nova), co-azionisti del gruppo Le Monde che di recente ha acquisito anche Le Nouvel Observateur e Télérama. Si sono alleati con Pierre-Antoine Capton, che controlla una società di produzione di programmi tv, la Trosième oeil productions: hanno l’intenzione di creare un fondo di investimenti, Media One, con un capitale da raccogliere in Borsa intorno ai 300-500 milioni di euro, per «approfittare del periodo propizio alle acquisizioni nei media». Media One guarda prima di tutto alla Francia, ma anche all’estero, a Spagna, Germania e persino Italia.

Il progetto prenderà la forma di una Spac (Special purpose acquisition company), una forma di società speciale con lo scopo di acquisire partecipazioni almeno al 75% in un settore specifico.

Saldi per il business

Prima di Media One, molti altri hanno già «approfittato» dei saldi nei media francesi.

Il movimento è iniziato all’inizio del secolo, con grandi nomi del mondo del business – Bernard Arnault di Lvmh, François Pinault di Kering, Serge Dassault presente nel settore degli armamenti – che si sono interessati ai giornali. Dassault acquisisce il quotidiano Le Figaro dagli eredi di Hersant, Pinault nel ’97 aveva preso il controllo del settimanale Le Point attraverso la holding Artémis, Arnault mette le mani sul primo quotidiano economico del paese, Les Echos.

Adesso, Arnault, che nel ’93 si era impossessato dell’altro quotidiano economico francese, La Tribune (poi ceduto, ora esce in rete), ha allargato il suo impero mediatico comprando il quotidiano popolare Le Parisien dalla famiglia Amaury (che conserva lo sportivo L’Equipe). Mathieu Pigasse, Xavier Niel e l’imprenditore Pierre Bergé nel 2010 hanno preso il controllo di Le Monde, prima gestito dalla società dei giornalisti e dei lettori. Arnaud Lagardère, alla testa dell’omonimo gruppo (il padre era padrone della società di armamenti Matra, poi confluita in Eads-Airbus) controlla tra l’altro il Journal du Dimanche e Paris-Match.

L’avventuriero della finanza

Intanto, un avventuriero della finanza, Patrick Drahi, si sta costruendo un piccolo impero nel panorama dell’informazione, dopo aver acquisito l’operatore telecom Sfr: a credito, ha comprato Libération, poi il gruppo L’Express e ha preso il controllo dell’insieme BFM-Tv.

Il monopoli mediatico infatti riguarda anche la tv.

Nelle televisioni private, mantiene le posizioni in Tf1 Martin Bouygues (che controlla anche il più grande gruppo europeo di lavori pubblici), malgrado un progressivo calo di audience della rete che era stata privatizzata da Jacques Chirac nell’87. In questo settore ha fatto irruzione Vincent Bolloré, presidente di Vivendi – uno dei più grossi gruppi di entertainment al mondo, con Universal e il gruppo Canal + (controlla anche Direct 8) – che adesso vuole imporre il suo punto di vista, anche editoriale, censurando reportage (ultimamente ha bocciato la trasmissione critica sulla banca Crédit Mutuel), mettendo tra parentesi il programma satirico Les Guignols, o frenando su un’inchiesta sulla squadra di calcio Olympique di Marsiglia, cioè in un settore delicato a causa dei diritti di trasmissione delle partite.

Poi c’è il web. Le Figaro sta per acquisire il gruppo Benchmark, Bolloré ha preso il controllo di DailyMotion.

Visibilità, influenza e anche guadagno: lo storico dei media Patrick Eveno riassume in questo modo le motivazioni dei nuovi capitani, in sostanza una mezza dozzina di miliardari che stanno per prendere il controllo di tutto ciò che conta nei media francesi.

edicola parigi foto reuters

Visibilità, influenza e guadagno

Visibilità per farsi un nome nel mondo del business, come Drahi con Libération. Influenza politica per pesare sulla strategia del governo, come Dassault, che ha così potuto piazzare i caccia Rafale, prodotti nelle sue industrie. Guadagno, con le sinergie previste, grazie alla presenza su tutti i fronti (carta stampata, radio, tv, Internet), con l’obiettivo di controllare tutta la filiera, dai contenuti al contenitore (investimenti nelle telecom: Niel è padrone di Free, Drahi di Sfr e ha investito parecchi miliardi per acquisire il cablo-operatore Usa Cablevision).

Il guadagno viene anche dallo sfruttamento delle testate storiche ormai considerate delle «marche» che rendono: per raccogliere pubblicità sul Web, ma anche per organizzare convegni vari, sovvenzionati da enti locali o persino da stati stranieri (Libération ha appena organizzato un Forum in Gabon, paese-chiave della Françafrique).

La corsa agli acquisti è stata resa più facile dai prezzi in saldo, resi ancora più interessanti per il fatto che il settore è ampiamente sovvenzionato.

Arnault non ha speso più di 50 milioni di euro per acquisire Le Parisien, che ha un fatturato quattro volte superiore e conti in equilibrio. Stessa cifra messa da Drahi per il controllo del gruppo L’Express. Ottimo affare per Niel, Pigasse e Bergé con il gruppo del NouvelObs, che è costato poco più di una decina di milioni di euro.

Anche i 300-500 milioni che Media One vuole destinare alla costituzione del futuro grande gruppo editoriale europeo sono solo una goccia nell’oceano dei fatturati delle società dei promotori (per esempio, intorno al 3% del valore di Borsa di Iliad, casa madre dell’operatore Free, controllato da Niel).

Giornalisti e lettori restano soli

Per il momento, queste concentrazioni non si sono scontrate con la legge anti-trust. A un anno e mezzo dalle presidenziali del 2017, i miliardari sedotti dai media non temono una reazione dei politici, che hanno, al contrario, bisogno di loro.

I giornalisti sono rimasti ben soli a protestare contro i piani di ristrutturazione, che hanno colpito tutte le testate. Da Le Monde a Libération, passando per La Tribune, tutti hanno visto le redazioni ridotte.

Adesso nel mirino ci sono i tagli a L’Express imposti da Drahi (115 giornalisti dimissionari non sostituiti, 240 posti su 630 in via di soppressione tra tutte le categorie).

In più, c’è il grave problema dell’interventismo dei proprietari sulla linea politica.

Bolloré, che controlla anche l’agenzia di comunicazione Havas, sta creando un terremoto a Canal+ e a i-Télé, rete di informazione 24 ore su 24, imponendo di fatto una chiara svolta a destra, con licenziamenti e sostituzioni alla testa delle redazioni.

C’è già stato un incidente al Grand Journal di Canal+, quando la nuova conduttrice, Maïtena Biraben ha affermato, senza suscitare reazioni tra gli invitati, che il Front National «tiene un discorso di verità» nel quale «i francesi si riconoscono».

Anche Canal+, il grande finanziatore del cinema, è ormai imbarcato nel mainstream di un pensiero di destra che invade i media, senza trovare opposizione, a colpi di disprezzo per i «benpensanti», i «buonisti» e che diffonde poco per volta il veleno della chiusura, del rifiuto dell’altro, della paura.