Il «pressing» del Pd su Alfano per convincerlo a far convergere i suoi voti su Mattarella fredda l’entusiasmo di chi ha creduto nella «morte del Patto del Nazareno». Era stato un certificato troppo precipitoso, una bara che si chiude su un corpo ancora vivo come in un racconto dell’orrore di Edgar Allan Poe.

Nella minoranza Pd c’è chi aveva fatto un pensierino su una resurrezione improvvisa e improvvisata di una qualche forma di centrosinistra. Per lo meno questo è successo giovedì quando Renzi ha lanciato il nome di Mattarella, ma prima di farlo si è assicurato il tesoretto dei voti di sinistra di Sel.

Ancora ieri pomeriggio Franco Giordano, ex segretario del Prc e oggi fra i consiglieri più ascoltati di Vendola, buttava là una domanda: «Che succede se nell’elezione al Colle noi diventiamo indispensabili?». E la forzista Laura Ravetto, intervistata su La7: «Vedo Vendola passeggiare per il Transatlantico un po’ troppo sorridente. Non vorrei che pensasse di diventare presto ministro, con un conseguente violento spostamento a sinistra del governo».

Pippo Civati no, non ci ha mai creduto: «È vero», spiega, «che il nome di Mattarella rimette insieme una coalizione che non è più esistita, quella di centrosinistra», d’altro canto «il patto del Nazareno è come le telenovele, ci sono sempre le puntate in cui litigano. Del resto se ci hanno sempre detto che del Patto non faceva parte il nome per il Colle, allora perché dovrebbe essere rotto?».

Il partito di Vendola non crede più nel centrosinistra, almeno non crede che possa rinascere sotto le bandiere del Pd di Renzi. Domenica scorsa ha lanciato un coordinamento di tutte le anime della sinistra antirenziana e pro-Tsipras.

La sinistra Pd invece un po’ aveva sperato che il ’metodo-Mattarella’ – cioè «il riconoscimento della minoranza», come lo chiama Davide Zoggia – inaugurasse una nuova fase della legislatura e della segreteria. Anche perché la soddisfazione di oggi taciterà i dissensi interni per un numero limitato di giorni. Già il presidente della commissione bilancio Francesco Boccia non vede l’ora, «adesso che abbiamo recuperato il confronto interno, di discutere di merito: per esempio della risoluzione sul piano Juncker che presto arriverà in aula».

Stefano Fassina, altro dissenziente Pd, «dà atto a Renzi di aver compreso che eravamo ad un passaggio molto difficile. Dopo le tensioni sul jobs act, le primarie in Liguria, lo scontro sulla legge elettorale eravamo in una situazione di grande sofferenza. Un passaggio sul capo dello stato che non avesse considerato la rilevanza di tutto il Pd sarebbe stato rischioso». Ora però bisogna raddrizzare alcune storture. Per esempio «il decreto fiscale va mondato da norme sbagliate non perché hanno rilievo su Berlusconi, ma perché hanno effetti sistemici sbagliati».

Ma il cambio di verso di Alfano, che in serata apre al sì a Mattarella, e le rassicurazioni giunte da Berlusconi tramite numerosi ambasciatori che «il percorso delle riforme va avanti», gelano chi aveva sperato nella rottura della civil partnership Renzi-Berlusconi. Una rottura che del resto sarebbe stata «incomprensibile», secondo Roberto Giachetti: «Non capisco cosa ci guadagna il Cavaliere a sfilarsi dalla partita del Quirinale. Non si rende conto che sull’Italicum in aula c’è una maggioranza che può approvare le preferenze e far saltare i capolista bloccati?».

A chi chiede se il pressing del Pd alla ricerca di voti aggiuntivi per il Colle si spiega più per lo spettro dei franchi tiratori (con il dalemiano Ugo Sposetti ci sarebbe un gruppetto di delusi che puntava su Amato) o per evitare di eleggere il nuovo capo dello stato con una cosa che assomigli al centrosinistra, il presidente Matteo Orfini risponde che Renzi «non avrebbe alcun problema a eleggere Mattarella con una maggioranza di centrosinistra: perché è laico». Ma l’eventualità è ormai un caso di scuola, in serata Alfano lascia trapelare il sì dei suoi parlamentari a Mattarella.

Addio cambio di maggioranza: il centrosinistra resta nella tomba dove Renzi lo ha seppellito. «Non è dalla partita del Quirinale che può risorgere un’alternativa di governo», certifica Vendola. «Noi di Sel stiamo all’opposizione. Evitiamo di mischiare questioni differenti. La scelta di Mattarella è una crepa importante ma non ci prestiamo a entrare nei giochi di Palazzo. L’agenda del governo continua ad avere un profilo neo conservatore che noi combattiamo. È dall’affossamento del jobs act, o da un’autentica riforma sociale che può nascere o rinascere una coalizione alternativa».