«Renzi insomma ci ha fatto sapere, anche se non ce lo ha detto, che lui la serie A l’ha proposta: Sergio Mattarella, Giuliano Amato. E Walter Veltroni. Ma Berlusconi ha detto no. E quindi gora bisognerà pescare dalla serie B. Il nostro nome al Colle sarà un onesto giocatore di serie B». Da qualche giorno i grandi elettori della parrocchia che a grandi linee si definisce minoranza Pd (e che contiene riti e attitudini diverse che al momento del voto sul presidente della Repubblica potrebbero diventare evidenti) si sono fatti un po’ più cauti. Solo riflessioni a taccuino chiuso. Hanno pesato i toni concilianti del premier, la sua promessa ripetuta nelle riunioni di deputati e senatori di «partire dal Pd», il tentativo di spandere un clima di rassicurazione unitaria che alla prova della razionalità non regge, ma da cui i dissidenti loro malgrado vorrebbero per una volta farsi conquistare. Stamattina il premier incontrerà di nuovo i deputati Pd (alle 8) e i senatori (alle 9). Incontri lampo, in cui riferirà dell’esito degli incontri con le delegazioni dei partiti. Non farà nomi. La direzione del Pd è convocata giovedì mattina. Nella minoranza c’è chi scommette che neanche lì uscirà il nome. Il nome, c’è chi è certo, uscirà dal faccia a faccia con Berlusconi. E si saprà venerdì.

«Ma non sarà un’espressione diretta del patto del Nazareno», continua il nostro interlocutore. E non lo sarà perché, spiega, «sul nome del presidente della Repubblica Renzi costruirà una delle sue grandi narrazioni». La nomina del nuovo capo dello stato, è il ragionamento, sarà l’occasione per il rilancio dell’immagine del premier, un po’ appannata dopo il decreto fiscale «Salva-Silvio» e dopo l’approvazione dell’Italicum con i voti indispensabili di Forza italia. Seguendo questo filo si arriva ai nomi. Sergio Mattarella sarebbe il profilo migliore: fratello di un coraggioso dirigente Dc ucciso dalla mafia, antiberlusconiano della primissima ora (nel 1990 si dimise dal governo Andreotti per protestare contro la legge Mammì, la madre di tutte le leggi pro Fininvest), ora giudice costituzionale. Una biografia virtuosa da cui pescare a piene mani per complimentarsi con la scelta del premier.

Ma Mattarella, dice il tam tam di palazzo, non piace a Berlusconi. Ammettiamo che questa voce non venga fatta circolare ad arte. «L’altro nome della serie A è Giuliano Amato». A Renzi non dispiace, piace invece molto a dalemiani e bersaniani. Ma l’uno e gli altri escludono di intestarsi una scelta così impopolare: craxiano poi dalemiano e pluripensionato, una leccornia per la letteratura anticasta, e non solo. In serie A, ci viene spiegato, c’è anche Walter Veltroni, padre nobile del renzismo, ma eccessivamente dotato di ’standing internazionale’. Tradotto: l’officiante del matrimonio di Clooney rischierebbe di offuscare il premier, fin qui ’solo’ testimone dell’imprenditore amico Carrai. La versione ufficial-ufficiosa è che anche su Veltroni è calato il gelo del civil partner del Nazareno.

Finita la serie A, resta la serie B: onesti giocatori forniti di qualche qualità utile alla causa dello spin doctor. Per esempio Anna Finocchiaro: sarebbe la prima donna al Colle; la sinistra Pd non potrebbe dirle no, almeno non apertamente, ma nel segreto dell’urna chissà: in molti le imputano di aver spianato la strada alle riforme renziane. O Piero Fassino: ultimo segretario ds, in quanto tale (in teoria) sgradito a Berlusconi, oggi renzianissimo. Anche in questo caso la sinistra Pd non potrebbe protestare, non apertamente. Scartato il ministro Padoan, cioè una figura tecnica ufficialmente bandita ieri da Paolo Romani; escluso il sottosegretario Delrio, che provocherebbe una rivolta dei grandi elettori per eccesso di zelo verso il premier. Se Mattarella fosse davvero un tabù per Berlusconi, non resterebbe che Sergio Chiamparino: amico di Marchionne ma anche della Fiom, politico navigato ma della leva dei primi sindaci eletti dai cittadini, antesignani dell’antipolitica, scolpiti nel marmo dalla definizione dalemiana di «cacicchi». Infatti gode di buona fama fra i 5 stelle. Molto renziano (nel 2013 i 51 renziani votarono lui al posto di Marini, che fu impallinato) ma con allure da autonomo: da presidente della conferenza delle regioni – quindi attento alle prerogative dei nuovi senatori non eletti, che non guasta – ha guidato la battaglia contro la legge di stabilità: dallo scontro frontale a un’inversione a U verso il sì al governo. Non giovane ma giovanile. Nel novembre scorso aveva dichiarato: «Con i 5 stelle ci sono più margini di intesa che con Berlusconi. Se M5S ci sta al Colle ci vado di corsa». Anche questo non guasta, nel segreto dell’urna. Il Mattarella della Mammì o il Chiamparino che corteggia i grillini. Solo nomi come questi possono espiare la «manina» pro Silvio del decreto fiscale e il suggello del patto del Nazareno.