È stata a dir poco una intensa giornata politica e diplomatica quella di ieri fra Washington e New York dove il papa ha parlato alla seduta plenaria delle Nazioni unite mentre Obama ospitava alla casa bianca il presidente cinese Xi Jinping. Per i notisti americani entrambi i fatti hanno rischiato di essere momentaneamente oscurati dalle clamorose dimissioni annunciate a sorpresa da John Boehner lo speaker repubblicano che ha affermato che lascerà la camera a fine ottobre. Una doccia fredda per la leadership repubblicana che molti commentatori hanno creduto di attribuire ad una «crisi di coscienza» in qualche modo precipitata dalla presenza di papa Fransceso. Boehner, cattolico devoto, era stato seduto sul suo scanno durante il discorso di Francesco al congresso ed era parso visibilmente commosso mentre il pontefice si appellava all’unità e la cooperazione fra le fazioni ideologiche.

Al di là di ipotetiche crisi mistiche, Boehner in quanto leader della minoranza prima e, dal 2012, della maggioranza parlamentare repubblicana ha presieduto uno dei congressi più aspramente divisi della storia. Non solo fra democratici obamiani e i repubblicani fautori di un ostruzionismo a tutto campo, ma anche di uno stesso partito repubblicano spaccato da una fronda oltranzista che reclama la rottura totale. Per questo il fianco destro del partito ha contestato e sabotato ogni pur raro tentativo di mediazione imbastito da Boehner e irrimediabilmente compromesso l’autorità della sua leadership. L’annuncio delle dimissioni a pochi giorni da un ennesimo scontro sul bilancio che la prossima settimana potrebbe portare a un nuovo ennesimo shutdown del governo federale, segnala una resa dei moderati all’inizio di una stagione elettorale che promette di polarizzare ulteriormente il paese.

Mentre Washington era scossa dalle notizie politiche, al palazzo di vetro il papa si rivolgeva all’assemblea plenaria delle Nazioni unite che nel settantesimo anniversario del consesso delle nazioni ha aperto ieri i lavori di una seduta dedicata alla formulazione di una “agenda di sostenibilità per il 2030”. Ai delegati Francesco si è rivolto con un discorso in spagnolo più incisivo ancora di quello fatto a Washington, in cui ha ribadito un rinnovato ed effettivo impegno diplomatico della santa Sede negli affari temporali del mondo che rappresenta un nuovo corso e una sostanziale novità politica certamente rispetto alla amministrazione Ratzinger. Il discorso di Francesco è stato il quinto di un pontefice all’assemblea dopo quelli di Benedetto XVI, Paolo VI e in due occasioni di papa Wojtyla. Giovanni Paolo era fautore di un simile impegno politico del Vaticano ma che nella sostanza non poteva essere di indirizzo più diverso dall’ agenda delineata ieri da Francesco.
Il papa ha cominciato col ribadire l’imprescindibilità dell’Onu come sede per articolare il diritto internazionale, l’unico legittimo ed essenziale strumento di mediazione planetaria, solo le Nazioni unite – ha detto -, sono in grado di «dissipare le tenebre del disordine causato dalle smisurate ambizioni e le forme di egoismo collettivo». Francesco ha poi enumerato con tutta l’urgenza del momento le sue normepolitiche e morali per la sopravvivenza dell’umanità. Nel decalogo del papa, uguaglianza e libertà, lotta alla povertà e alla guerra e un imprescindibile baricentro etico e spirituale per la politica la cui responsabilità centrale è la tutela dei deboli del mondo. Una visione in cui questioni etiche, politiche ed economiche sono inestricabilmente connesse ed esigono interventi concreti che vadano al di là di sterili dichiarazioni o «la pratica burocratica di stilare lunghi elenchi di buoni propositi».

Ai delegati di una organizzazione notoriamente paralizzata da burocrazia e dalle priorità dei singoli stati membri, Francesco ha ricordato che politica ed economia «devono forzatamente essere guidate da perenni concetti di giustizia» e della consapevolezza che «al di là dei progetti e dei programmi stiamo sempre parlando di veri uomini e donne che vivono, lottano e soffrono spesso costretti in una povertà che li priva di ogni diritto». Per combattere povertà e guerra, altro fondamentale oltraggio alla dignità dell’uomo, Francesco ha toccato i temi fondamentali del suo pensiero: lotta all’esclusione in tutte le sue forme che significa ad esempio combattere l’oppressione dei debiti nazionali «che lungi dal promuovere lo sviluppo creano meccanismi che generano povertà, esclusione e dipendenza» dei popoli. Ed ha ancora una volta messo al centro del suo discorso il clima, dato che l’inquinamento è forma anch’esso di esclusione in quanto impatta sproporzionatamente proprio i deboli del mondo.

«La conseguente distruzione della biodiversità è una minaccia alla stessa sopravvivenza della specie umana e la conseguenza perniciosa di una economia globale irresponsabile guidata solo da lucro e ambizione». È stato deluso insomma chi pensasse che Francesco avrebbe moderato i termini della sua agenda “radicale”. All’Onu il papa ha formulato un appello inequivocabile all’azione concreta che ha compreso l’elogio dell’accordo nucleare iraniano e che è apparso in marcato contrasto con l’incontro fra Obama e Xi svoltosi quasi contemporaneamente alla Casa bianca e in parte “oscurato” dagli eventi che si sono sovrapposti. Nella conferenza stampa di Washington i due leader hanno parlato di conflitto cibernetico (gli Americani accusano da tempo le azioni di hacker sponsorizzati dal governo di Pechino contro industria ed enti pubblici Usa). Hanno risposto a domande sull’espansionismo di Pechino nel Mar Cinese meridionale, di clima (unico terreno di parziale accordo) e di economia.

Ma i presidenti hanno in gran parte parlato in parallelo senza dar segni di effettiva intesa o dialogo lasciando la netta sensazione che i convenevoli e il galateo fosse coreografato in gran parte per un consumo interno cinese più che per sostanziali progressi nei rapport bilaterali. Un contrappunto che non ha potuto che sottolineare il contrasto della politica reale con gli appelli del papa che nel frattempo ha proseguito il suo terzo giorno americano con una cerimonia al memoriale dell’ 11 settembre a ground zero, una processione in auto a Central Park, la visita ad una scuola cattolica di East Harlem e la messa a Madison Square Garden.