Bergoglio sembra deciso a non modificare gli impegni presi: Giubileo della Misericordia e viaggio in Africa restano in agenda, nonostante il Mali e la minaccia di attentati.

La partenza è prevista per il 25 novembre (rientro il 30), la visita toccherà Repubblica Centrafricana, Kenya e Uganda. Sarà «un’occasione per rinnovare l’appello, che il pontefice continuamente fa agli appartenenti a tutte le religioni, a non usare il nome di Dio per giustificare la violenza» sottolineava ieri il Segretario di stato Parolin. Il viaggio in Africa, il primo in assoluto per il pontefice, avrà al centro proprio il messaggio: «La violenza in nome di Dio non è moderna, è antica ma oggi è inimmaginabile – come ha spiegato ieri Bergoglio in un messaggio in spagnolo -. Le tre religioni hanno tutte i gruppi fondamentalisti, piccoli rispetto a tutto il resto; ma la struttura mentale di un gruppo fondamentalista, anche se non uccide nessuno, è la violenza in nome di Dio».

Resta il tema della sicurezza, non solo per il papa: «Se dovessero esserci dei rischi per la popolazione civile e i militari del contingente Onu, che sono lì per una missione di pace, il programma potrebbe subire qualche piccola modifica» ha spiegato il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, prima di partire per il sopralluogo in Centrafrica. Ancora Giani ha sottolineato: «Il Santo Padre desidera molto mantenere questa tappa in una zona particolare, dove ci sono gli scontri tra i cristiani e i musulmani, seleka e anti-Balaka. Faremo di tutto affinché il viaggio si possa fare in condizioni di sicurezza, per il Papa e di conseguenza tutti gli altri». Tappa a rischio quella di Bangui, capitale centrafricana, dove Bergoglio dovrebbe aprire la Porta Santa della cattedrale e pregare in moschea, un anticipo di Giubileo dedicato all’Africa. Per ora padre Federico Lombardi smentisce la voce che il pontefice indosserà il giubbotto antiproiettile negli spostamenti in papamobile.

Nella Repubblica Centrafricana è in corso un tentativo di riconciliazione nazionale, la cosiddetta Piattaforma, alla quale collaborano cattolici, evangelici e islamici, per la pacificazione delle due fazioni in lotta, cristiana e islamica. A lavorare sul campo l’arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga,e l’imam Oumar Kobine Layam. Due anni fa il colpo di stato di Michel Djotodia, sostenuto dai Seleka, l’anno scorso Catherine Samba-Panza è stata eletta Presidente di transizione.

Nel paese ci sono i Caschi Blu Onu ma anche le truppe francesi. Dal 2013 un migliaio i morti e oltre un milione i profughi. Il malcontento verso le truppe Onu ha spesso generato rivolte: a fine settembre a Bangui una sollevazione ha provocato 42 morti, centinaia di feriti, una decina di case bruciate e una chiesa distrutta. Dal Vaticano ripetono: «Non cambia il programma: Papa Francesco desidera andare anche in Centrafrica».