L’unico presidente del consiglio approdato a Lampedusa per annunciare, nonostante l’intralcio degli sbarchi dei disperati, le progressive sorti del turismo isolano, e a riprova del fattivo impegno, a promettere di diventarne cittadino onorario con l’acquisto di una bella villa, fu nel marzo del 2011 Silvio Berlusconi. Un comiziaccio ben incorniciato nelle cronache degli ultimi anni, affollate di politici protagonisti di un razzismo ammantato di efficientismo («la solidarietà è un lusso che non possiamo permetterci…»), o persino responsabili di tragici eventi, come accadde durante il governo Prodi, con il mortale speronamento, sulle coste pugliesi, di un barcone di migranti.

Cambiano i governi, ma non la distanza della politica dalle sfide del presente. Impegnato nel gran tour per le cancellerie europee l’attuale presidente del consiglio non ha trovato il tempo di affacciarsi su quell’ultimo lembo d’Europa per piangere i morti, spezzare l’indifferenza, testimoniare vicinanza, dare corpo alle parole, anzi quell’abusato “fare” suona oggi come un mantra utile a camuffare l’impotenza a invertire la rotta indicata dai trafficanti della finanza globale. Imu e Iva sono le vette del nostro dibattito politico.

Naturalmente i duemila anni di storia consentono alla Chiesa di esprimere una forza simbolica peculiare, di toccare corde profonde, come è avvenuto ieri, davanti al mare nostro, con la parabola di Caino che non riconosce la propria responsabilità per la vita del fratello, con Rachele che piange la strage degli innocenti: sacri testi rievocati durante una messa lampedusana capace, con questo papa, di superare ogni frontiera e rivolgersi al mondo. I rituali laici stentano a raggiungere questi simboli, ma quando sono in primo piano le guerre, i trafficanti di uomini, lo sfruttamento della povertà usata per ridefinire l’accumulazione perduta con la crisi, chi se non i rappresentanti di una classe di governo dovrebbe misurarsi con queste sfide, farne la ragione primaria di una visione politica?

Lampedusa è una delle troppe frontiere, di un occidente che pure si professa cristiano, abbandonate persino da chi ingaggia prove di governo in nome dell’uguaglianza, della fraternità, della libertà. Senza averne, tuttavia, saputo conservare l’autorità morale, incapace com’è di formulare una critica seria a chi «nell’anonimato prende decisioni economiche», alla «globalizzazione dell’indifferenza», secondo la felice sintesi offerta dal pontefice nella sua omelia, una sorta di gramsciano «odio gli indifferenti».
Semmai i nostri palazzi sono talmente immersi nell’omologazione di un pensiero dominante, da sorprendersi e polemizzare verso chi prova, appunto con il comportamento prima ancora che con le parole, a rivendicare le proprie radici, come ha fatto la Presidente della Camera (che a Lampedusa, invece, è andata). Declinare l’invito dell’amministratore delegato della Fiat, per ricordare i diritti degli operai, ha destato scandalo.
Sarà per questo se negli ultimi tempi la forza di un sentimento morale collettivo l’abbiamo ritrovata nelle cerimonie funebri di alcune personalità (don Gallo, Franca Rame, Margherita Hack) che nella cultura, nel vangelo, nella scienza testimoniavano la distanza da una politica orfana di speranze e prospettive per il futuro.