Astro Noise è la lieve perturbazione di fondo prodotta dalla radiazione residua del Big Bang. È anche il nome di un file criptato che Edward Snowden inviò a Laura Poitras nel 2013, contenente le prove che il governo statunitense era impegnato in una massiccia operazione di sorveglianza segreta, in patria e all’estero.
Da venerdì scorso, Astro Noise è, infine, il nome di un’ipnotica, vividissima, mostra che il Whitney Museum dedica alla regista di Boston, vincitrice (insieme a Glenn Greenwald e al Guardian) del Pulitzer 2014 per il suo reportage sulle attività della National Security Agency e di un Oscar, per il film su Snowden, Citizenfour.
Creativamente, politicamente, e anche biograficamente parlando, il Big Bang di Poitras – autrice, oltre a Citizenfour, dei documentari My Country, My Country (del 2009, sull’occupazione in Iraq) e The Oath (2010, su due prigionieri a Guantanamo) – è l’11 settembre: la sua opera esplora infatti instancabilmente, con grande coraggio, lucidità e intelligenza, l’America del «post». Astro Noise si vive come una ride da parco a tema, in una versione paranoide di Disneyland, tra Orwell, 2001 Odissea nello spazio e il Tg di prima serata.

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Si parte con «Anarchist»
Già invitata alla Biennale del Whitney nel 2012 (dove, tra le altre cose, aveva tenuto un teach-in sulla sorveglianza e allestito una performance che coinvolgeva gli spettatori del museo in simulazioni di arresti sommari e interrogatori), Poitras aveva iniziato a ipotizzare di tradurre in un allestimento i suoi primi contatti con Snowden, nel 2013 («non sapevo ancora chi fosse e credevo che non l’avrei mai incontrato»). Articolata in un percorso di cinque installazioni, che occupano un intero piano del Museo, nella sua nuova collocazione downtown, tra il meatpacking district e il fiume Hudson, Astro Noise riflette quell’obbiettivo, e molto di più.

«Perché cazzo mi sto dedicando a lungometraggi documentari quando ci sono metodi di lavoro più energizzanti?», si chiedeva Poitras, il 26 febbraio 2013, in un diario berlinese scritto durante la lavorazione di Citizenfour, i cui stralci sono pubblicati nel catalogo che accompagna la mostra. E ancora: «Questo film mi fa pensare alla possibilità di intervenire in altri modi – più veloci, immediati, caratterizzati da un’espressione più diretta nei confronti del pubblico» .
All’ottavo piano del Whitney Museum, che ospita la rassegna Astro Noise, l’ascensore si apre su Anarchist: pannelli di immagini astratte, coloratissime, di grande bellezza, quasi allegre. Non sono quadri, ma illustrazioni criptate dei feed di droni e satelliti, ricevute in un centro di sorveglianza segreto inglese, situato a Cipro. Erano parte dei files inviati da Snowden a Poitras, e la loro collocazione ci ricorda l’importanza dell’esperienza estetica in questa mostra dal messaggio politico così potente, che è disegnata per sollecitare il massimo coinvolgimento emotivo da parte del pubblico.

Tutti nella Twilight Zone
Gli albori del mondo «post», che è il soggetto di Astro Noise, si trovano in una sala scura, subito sulla sinistra in cui, appeso al soffitto, è uno schermo a doppia faccia. Da un lato, in slow motion, i volti e le espressioni di persone che fissano (o ignorano passando) una stessa «scena», che allo spettatore rimane però invisibile.
Sconcerto, dolore, rabbia preoccupazione, indifferenza, incantamento… in sfumature, vulnerabilità e tempi diversi, scorrono sui loro volti. È «il controcampo» di Ground Zero, le macerie del World Trade Center, in una serie di immagini girate nelle settimane immediatamente dopo l’11 settembre.
Sul «rovescio» dello stesso schermo, vediamo invece due uomini, Said Boujaadia e Salim Hamdan (l’autista di Bin Laden e soggetto di The Oath) mentre sono interrogati dai militari Usa, nel mese successivo all’attentato alle Twin Towers.

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La forte esperienza emotiva è amplificata dal sonoro – una versione lancinante, sfibrata, dell’inno americano, come suonato all’inizio della quarta partita della World Series, il 31 ottobre 2001, allo Yankee Stadium di New York. Le prime battute di The Star Spangled Banner sono anche il titolo di questa installazione: O’ Say Can You See.
«Mi interessano le opere che rendono un’esperienza narrativa, quelle che hanno un inizio, un punto di mezzo e una rivelazione finale – una progressione drammatica ’tradizionale’ – però mappate in modo più astratto e in cui lo spettatore del museo può diventare un protagonista», ha dichiarato Poitras al curatore della mostra Jay Sanders, in un’intervista pubblicata sul catalogo.
Con O’ Say Can You See, lo shift è iniziato: siamo ufficialmente nella Twilight zone. E, continuando, in una vena sempre più immersiva, la tappa seguente del percorso è Bed Down Location: un magico cielo stellato, un planetarium da Mille e una notte, proiettato su un soffitto e che siamo invitati a guardare a lungo, sdraiati, in un’aria fitta di strani ronzii, voci, vibrazioni. I cieli sono quelli di Yemen, Afghanistan, Somalia e Pakistan, il sound appartiene ai droni che li attraversano, ma anche ai piloti e alle comunicazioni radio che li controllano da lontano, per esempio dalla base dell’Air Force Usa a Creech, in Nevada, teatro del più interessante, coraggioso, film di fiction mai fatto sui droni nell’era di Barack Obama, Good Kill (che citiamo anche perché arriverà in Italia il 25 febbraio).
«L’intera mostra riguarda l’era post 9/11 ma anche il cinema stesso – con l’uso di controcampi, proiezioni sul soffitto, spioncini che somigliano a quelli di un peep show, ellissi narrative, colpi di scena. Già ai tempi di Lumière e Méliès, il cinema rifletteva la tensione tra il documentare la realtà fredda, dura, delle persone (operai che escono da una fabbrica, treni in arrivo alla stazione) e il creare delle fantasie magiche», afferma ancora Poitras a Sanders nel libro, spiegando molto bene la sovrapposizione di linguaggi e di suggestioni che denotano il suo lavoro (da ricordare, ad esempio, la costruzione da thriller di Citizenfour).

Lo Stato segreto
In quello spirito, la quarta installazione, Disposition Matrix, è strutturata in un corridoio nero su cui si aprono delle piccole feritoie orizzontali luminose, come quelle di un peep hole, o di una prigione. L’idea, scrive Poitras nel dépliant guida, «era quella di evocare uno Stato segreto, un mondo nascosto, qualcosa difficile da vedere».
Disposition Matrix, che deriva il suo titolo dal database creato dalla Casa Bianca e dall’intelligence americana per seguire, catturare e/o uccidere sospetti terroristi, è costituito anche di materiali contenuti nei files di Snowden e racchiude, tra le altre cose, un memorandum dell’allora direttore della Cia George Tenet, il girato (dal cellulare di un giornalista yemenita) dei morti in seguito a un bombardamento nel 2012, alcune note del dipartimento della difesa che riconducono il cyber-attacco a un atto di guerra; e ancora, immagini da un’ispezione di Abu Ghraib e diagrammi che riflettono l’ubiquità dei centri di sorveglianza del governo o di una compagnia di una corporation che ha accettato di collaborare alla raccolta dati.
A sorpresa, per quest’artista che in Citizenfour si vedeva a malapena nel riflesso dello specchio della camera d’albergo di Hong Kong dove incontrò Snowden, l’ultima installazione di Astro Noise, November 20 2014, è autobiografica ed è realizzata con uno spezzone di film, girato (per My Country, My Country) su un tetto iracheno durante uno scontro armato, e con un file dell’Fbi, pesantemente redacted. Il suo.

SCHEDA

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Una guida per la sopravvivenza sotto sorveglianza totale. Questo il sottotitolo del volume che accompagna Astro Noise, la mostra da cui questa collezione di materiali prende anche il nome. Ricco di presenze diverse, anche il libro è pensato, come tutto il lavoro di Poitras, secondo una combinazione/sovrapposizione di generi e texture.. Oltre ai saggi di prammatica firmati dai curatori della mostra, e a un saggio sul lavoro di Poitras di Alex Danchev, il catalogo include anche, un testo di Snowden (sulla definizione di «astro noise»), un contributo di Ai Weiwei (fotografie del governo cinese che lo sorveglia, tra il 2009 e il 2011), uno stralcio della sceneggiatura di Dave Eggers tratta dal suo libro The Circle (il film, diretto da James Ponsoldt, con Tom Hanks e Emily Watson, uscirà l’autunno prossimo), ampi estratti del file Fbi della regista, una lettera del giornalista/teorico di cybersecurity Jacob Applebaum e un racconto di Corey Doctorow, The Adventure of the Extraordinary Rendition, ispirato dai files di Snowden, ma con protagonisti Sherlock Holmes e Watson.
Nel diario berlinese scritto durante la lavorazione di Citizenfour, tra il novembre del 2012 e il maggio del 2013, quando la regista, allora sotto sorveglianza dell’Fbi, si era trasferita in Germania temendo che le venisse sequestrato il girato, Poitras (che in quel periodo rileggeva 1984 e Homeland di Corey Doctorow, e guardava Kubrick, L’uomo caduto sulla terra e Tutti gli uomini del presidente scrive: «Qual è il soggetto di questo film? Forse il coraggio di resistere al potere. Quello è senz’altro il tema che lo attraversa. È anche un film su un momento storico rivoluzionario in cui l’emergenza di una tecnologia smuove gli equilibri di potere. Più di ogni altra cosa, però, è un film sulla resistenza. La sorveglianza (segreta) è il tema di fondo, anzi il prisma, attraverso il quale osserviamo la resistenza». Lo stesso si può dire per la sua mostra al Whitney.