Che fare di fronte alla peggiore crisi degli ultimi 35 anni? Questo è il problema che attanaglia il più antico partito di Spagna, il socialista Psoe, precipitato dal 43,9% delle politiche del 2008 al misero 23% di domenica scorsa. In mezzo, l’esplosione della crisi, la svolta antisociale di José Luis Zapatero, e la grave sconfitta delle politiche del 2011 con un 28,8% che, visto oggi, appare agli occhi dei vertici del partito un risultato da sogno. Non consola il «mal comune» degli avversari popolari di Mariano Rajoy: anche loro in profonda crisi, lontanissimi dal 44,6% di tre anni fa, possono permettersi però di guardare i socialisti dall’alto verso il basso, «forti» di un magro 26%.

L’altro ieri il segretario del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba ha annunciato le dimissioni e la direzione del partito ha accolto la sua proposta di convocare un congresso straordinario a luglio. Occasione nella quale i delegati voteranno la persona che prenderà il suo posto. Tutto logico, apparentemente: dopo una grave sconfitta, ci si fa da parte e si sceglie secondo le procedure previste la nuova leadership. E invece no: la decisione di Rubalcaba ha suscitato un vespaio nel partito. Che il 63enne ex ministro debba passare la mano non è messo in discussione, anzi. Il problema sta nella modalità di scelta del nuovo numero uno del partito, e nell’intreccio di tale passaggio di consegne con un’altra designazione importante: quella del candidato premier.

Prima delle dimissioni di Rubalcaba, infatti, il Psoe aveva già convocato per l’autunno delle primarie «all’italiana», aperte alla cittadinanza, attraverso le quali intendeva selezionare l’anti-Rajoy. La convocazione del congresso straordinario, però, rischia di rappresentare un’ipoteca sulle primarie d’autunno: se i delegati – quindi il corpo del partito – sono chiamati ad eleggere un nuovo segretario a luglio, difficilmente si può immaginare che altri competano pochi mesi dopo per il ruolo di candidato premier. Se il partito deve rinnovare i propri vertici – questo è il ragionamento – allora la figura-guida deve essere una soltanto. Ma scelta da chi? Dall’«apparato» del partito o dai cittadini con le primarie?

Per chiedere l’inversione degli appuntamenti, e quindi di celebrare prima l’appuntamento «di massa» nei gazebo e poi il congresso «tradizionale», ieri si sono mobilitati in molti. Soprattutto i due principali aspiranti al ruolo di sfidante di Rajoy, e cioè l’ex ministra della difesa Carme Chacón e l’ex leader della federazione giovanile Eduardo Madina. Concordi nel volere fortemente la designazione popolare, sono convinti che il Psoe «debba aprirsi alla società civile». Ma soprattutto temono entrambi che dietro la decisione di Rubalcaba ci sia la volontà di pilotare la successione, facendo incoronare dal congresso la presidente dell’Andalusia Susana Díaz, che è anche a capo della federazione regionale socialista. Che, da sola, vale un terzo del partito.

Le difficoltà del Psoe sono lo specchio del successo di «podemos», la lista – nata dal movimento degli indignados – che ha sorpreso tutti conquistando l’8% alle europee (tradotto in ben 5 deputati). Sono il fenomeno politico del momento, che costringe i socialisti a riflettere sugli errori commessi negli ultimi anni. La distanza tra il Psoe e ciò che nella società si è mosso contro le politiche di austerità è enorme: un gruppo come «podemos» è anche il frutto dell’ingessamento burocratico di un Psoe che non è stato in grado di intercettare nulla dell’enorme potenziale che il movimento della Puerta del Sol esibì di fronte al mondo.