Enrico Rossi, sul suo blog ha appena pubblicato una riflessione – «Le macerie di Roma e il partito nuovo» – che sta facendo discutere. Perché ha deciso di intervenire in questo, non certo facile, momento della vita del Pd?

Non si governa né si amministra senza avere un pensiero, un patrimonio di idee che nascono attraverso una discussione collettiva. Se un partito si riduce alla comunicazione, o alle lotte interne per la conquista di ruoli istituzionali, non può andare bene.

Nella sua riflessione però traspare la nostalgia del partito di cui, da giovane, faceva parte. Si sente orfano del Pci?

Non si può tornare indietro, è ovvio. Poi anche quel partito correva rischi di autorefenzialità. Più in generale, i vecchi partiti hanno commesso tanti delitti. Alcuni di natura penale, corruttiva. Altri, come il Pci, mantenendo fino all’ultimo un legame con una dittatura. Ma nel vuoto dei partiti si è creata una «democrazia emozionale», dominata dai grandi poteri. Dai soldi. Ha aperto la strada Berlusconi, che infatti non ha costruito un partito.

Insistiamo: non le sembra di essere un po’ retrò? E poi il Pd esiste ormai da dieci anni.

Non sono retrò. Dei difetti si è detto. Ciò non toglie che questi partiti avevano un ruolo nella società, per consentire a tutti di contribuire alla discussione. E nella selezione di una classe dirigente scelta non secondo le priorità del momento, ma sulla base di molteplici esperienze e «messe in prova».

Detta così sembra una stroncatura delle primarie come metodo di selezione.

Lo ripeto, nessuno pensa di tornare al passato. Ma non si può nemmeno pensare che l’unico strumento di selezione siano le primarie aperte a tutti. Oppure che siano portate avanti personalità costruite solo sui media. Mi sembrano più elementi di indeterminatezza che di evoluzione.

Allora come immagina il «partito nuovo»?

Premettendo che il termine «ditta» non fa parte del mio lessico politico, io penserei ad una conferenza di organizzazione. Ne parlai già prima della vittoria di Bersani, che fu eletto con l’obiettivo di ricostruire il partito. Cosa a cui, in seguito, ci dedicammo ben poco. Invece avremmo bisogno, nel secolo nuovo, di un nuovo partito. Popolare, e in grado di organizzare un progetto politico: con una sua ideologia, i propri referenti sociali, e forme di partecipazione reali. In questo la tecnologia può aiutare. Un luogo dove si discute di tutto, e dove ci si fa un’opinione. A me questo sembra ancora un bisogno, altrimenti non ci si spiega perché si fanno le feste dell’Unità.

Dunque Rossi è un «partitista» convinto.

Il partito è l’invenzione più potente per dare la parola ai cittadini. Per dare voce a chi non ce l’ha. E se una volta si parlava del partito come dello strumento per portare le masse dentro lo Stato, oggi possiamo dire lo stesso per portarle dentro l’Europa. Lì dove si decidono i destini di intere popolazioni.

A giudicare dalla relazione, non certo ottimistica, fatta da Fabrizio Barca che ha passato al pattine tutti i circoli romani del suo partito, la sensazione è che di strada il Pd ne debba fare davvero tanta. A proposito, all’epoca Barca fece una comparsata televisiva una, e ci fu qualche articolo sui giornali. Poi più niente. Eppure di materiale per discutere ce n’era in abbondanza.

Ho incontrato Barca anche poco tempo fa, e personalmente condivido molte delle cose che dice. Sono convinto che si debba sapere che ci sono delle condizioni oggettive di partenza, dunque prendiamoci il tempo di cui abbiamo bisogno. Però la discussione va aperta. E, per gradi, va ricostruito il partito. Penso che sia un passaggio ineludibile. Ne va della qualità della democrazia.