demone

Non la prima pagina, ma la copertina. Per comprendere dentro quale vicenda il lettore andrà ad incunearsi è necessario prestare attenzione prima di tutto alla copertina che su fondo bianco presenta un’opera di Adolfo Wildt che nella sua levigata lucentezza definisce il senso e lo spessore del lavoro d’esordio di Andrea Morstabilini. Il demone meridiano segna infatti la definizione di una letteratura che potremmo definire dell’inquietudine (Il Saggiatore, pp. 196, euro 19). Un romanzo che straccia i confini consueti quanto consunti del pop come del kitsch liberando con dissoluto piacere (soprattutto del lettore) gli strati nascosti di una letteratura potenziale in cui il linguaggio e la memoria si intrecciano specchiandosi e generando nuovi reciproci mondi.

L’opera di Wildt in copertina diviene così la dimostrazione che la sfida (oltre che vinta) è data in campo aperto. Morstabilini non si nasconde, ma dichiara chiaramente che il valore di una letteratura che si possa definire compiuta – per lo meno all’interno di un’istante emotivo – non può derogare ad un conformismo di linguaggio come di contenuti. In sostanza il piacere non è nella consolazione, ma nel perturbante. L’autore si fa carico del suo ruolo e definendo un tono personale si mette letteralmente all’opera levigando con descrizioni e strutturando con costruzioni di linguaggio mai banali una narrazione in cui il demone non è chi racconta, ma proprio chi legge. Il lettore è infatti chiamato in causa a dare compiutezza e tridimensionalità percettiva a Il demone meridiano. Un libro dunque che si propone compiuto anche con una certa ambizione non banale e mai celata, ma che chiede al lettore una partecipazione ed un coinvolgimento attivo e contemporaneo. Il demone prende vita dalle pagine generandosi da radici di memoria fatte di citazioni occulte e proprio per questo efficacemente generative, ma sarà poi la velocità e il piacere di chi legge a dare senso e finalità al suo vagare.

L’orrore si fa sublime e la paura è allo stesso tempo piacere. È il sugo della vita di Piero Camporesi (padre simbolico de Il demone meridiano) che da forma a sogni lisergici eppure di funebre compostezza quasi borghese. Una storia in verità fortemente lombarda fatta dell’ordine necessario e di quella nebbiosa cultura contadina spesso priva di parole, ma i cui corpi affamati e segnati illuminano come fuochi fatui un tempo passato di fame come oggi di ossessive sagre. Il corpo parla, ma è un corpo funebre, Morstabilini assume su di sé il tempo di una storia impastata che non sfugge dalla lezione di Gadda, ma anzi la ripropone sotto forma di un immobilismo denso e pastoso in cui però la levigatezza si pone come piano scivoloso di un piacere sottaciuto e sotterraneo.

Un esordio che sceglie la porta stretta dell’impegno letterario e che non delude: il tempo della narrazione assopita si è chiuso e con i demoni non si può più venire a patti perché non solo ci circondano, ma ci appartengano nelle origini come negli affetti. Il mondo è sottosopra è la nostra reale via d’uscita.