Non si può parlare solo di tamburi e ritmo. I Kodò sono un’istituzione giapponese e ogni loro esecuzione è una vera esperienza extrasensoriale, come hanno dimostrato la scorsa settimana al Teatro dell’Arte di Milano con il loro spettacolo One Earth Tour 2016: Mystery. Al 35esimo anno di attività, la loro forma d’arte scaturisce da antiche tradizioni del Sol Levante e dalla ferrea disciplina con cui si allenano nell’isola di Sado. Danza, teatro e musica, sono indissolubilmente legate all’uomo, al suo corpo, alla sua filosofia e soprattutto al mondo che gli gira intorno.

Kodo in giapponese significa «battito del cuore», suonare il Taiko (tamburo) richiede un grande sforzo fisico: cosa deve avere un musicista per far parte del vostro gruppo?

Ms. Mariko Omi: «È importantissimo mantenere l’attenzione sul controllo del corpo, sulla creazione dei suoni e sul comportamento in palcoscenico. Ragionando costantemente sulla scelta di bacchette o mazzuoli, ci si domanda in verità quale parte del muscolo si metterà effettivamente in movimento e si cerca di capire su quale parte del corpo si distribuirà il peso. È molto significativo immaginare ciò che si aspetta l’altro e reagire rispondendo alle esigenze e alle aspettative degli altri musicisti che stanno suonando contemporaneamente».

Quando e perché avete pensato di risiedere in un’isola e dedicarvi alla musica? 

Ms. Eri Uchida: «All’inizio degli anni ‘70 alcuni giovani e studiosi si trasferirono sull’isola di Sado con l’idea di fondare un’università delle arti perfomartive giapponesi (Nihon Kai Daigaku, Università del mare del Giappone, ndr) e di studiare e apprendere le tecniche dell’artigianato, in sintonia con la vita del villaggio. Scelsero l’isola di Sado, non solo per la sua straordinaria ricchezza naturale, ma anche per la peculiare tradizione culturale. Inizialmente l’attività musicale era esclusivamente un mezzo per raccogliere i fondi necessari a realizzare il sogno dell’Università. I membri con il tempo hanno cominciato ad avere riconoscimenti all’estero e solo in seguito hanno proposto i concerti anche al pubblico giapponese.

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A Sado vivete in comunità e siete quasi autarchici. Come gestite il tempo fra allenamenti e mansioni quotidiane? 

Ms. Eri Uchida: «Prima di diventare performer è necessario superare un periodo di apprendistato di due anni. Successivamente è previsto un anno di attività come junior member. Durante il periodo della formazione gli allievi vivono insieme. Non solo studiano i tamburi e i flauti ma fanno anche lavori di agricoltura e preparano i pasti per tutti. L’esperienza di vita quasi autarchica regala la possibilità di sentire l’unione con il corpo e il cuore, grazie ai tamburi, con gli elementi invisibili e le presenze sacre come i Kami (divinità, oggetti di venerazione, ndr)».

Quando suonate il Taiko esprimete una summa delle tradizioni orientali. L’esecuzione di una canzone come viene costruita? 

Ms. Akiko Ando: «È fondamentale continuare a trasmettere la tradizione giapponese alle giovani generazioni. Tuttavia, se la proponiamo sul palcoscenico direttamente come ci è stata tramandata dalla generazione precedente, rischiamo di non far godere appieno il pubblico. Grazie alla collaborazione del Maestro Tamasaburo Bando, abbiamo imparato che è cruciale riorganizzarci in modo che i brani possano arrivare al pubblico in maniera diretta».

Quali sono le differenze tra un percussionista della tradizione occidentale e di quella orientale?

Mr. Yuta Sumiyoshi: «Se devo sceglierne una differenza in particolare, direi che riguarda la modalità con la quale vengono suonate. Le percussioni occidentali sono spesso suonate in complessi ritmici con altri strumenti o come accompagnamento per strumenti melodici. Invece non è inusuale che si suoni il Taiko servendosi solo di un tamburo. Gli strumenti di percussione occidentali sono regolati in modo che nessuna eco o suono eccessivo interferisca con gli altri strumenti che li circondano. Infine i tamburi occidentali si accompagnano molto bene agli altri strumenti ma se vengono suonati da soli, si percepisce che manca qualcosa nel suono. Al contrario, i Taiko hanno toni forti e unici, che possono spaziare su una scala di volumi molto ampia, si hanno possibilità infinite».
(traduzione di Izumi Arakawa)