Accelerare la costruzione degli hotspots, aumentare il numero dei migranti identificati e rafforzare ulteriormente i controlli alle frontiere. L’ennesimo ultimatum che l’Unione europea si prepara a dare alla Grecia ha l’effetto di irritare ulteriormente il governo Tsipras. Nei giorni scorsi il ministro per l’Immigrazione Yannis Mouzalas ha parlato di un tentativo da parte di Bruxelles di «criminalizzare» il paese ellenico, del quale non si riconoscerebbero abbastanza gli sforzi compiuti per arginare il flusso di migranti in arrivo dalla Turchia. Gli scenari ipotizzati, conseguenza di una probabile chiusura definitiva del confine con la Macedonia, se non proprio catastrofici sarebbero a dir poco allarmanti, con centinaia di migliaia di rifugiati bloccati in Grecia nell’impossibilità di proseguire il loro viaggio lungo la rotta balcanica. Solo nella prima settimana di blocco della frontiera almeno 18mila profughi si accalcherebbero al confine della Macedonia, mentre dopo un mese potrebbero essere 100mila quelli presenti su tutto il territorio, 20mila dei quali solo nelle isole dell’Egeo.

«È un momento particolarmente difficile per il Paese», commenta preoccupata Alessandra Morelli, coordinatrice dell’Unhcr per le operazioni di emergenza nel paese ellenico. Proprio all’Alto commissariato Onu per i rifugiati Bruxelles ha chiesto di preparare un piano in grado di gestire la nuova emergenza umanitaria che si verificherebbe nel caso la situazione dovesse precipitare nel prossimo mese di maggio, quando l’Ue deciderà il destino della Grecia.

«È dall’estate scorsa che stiamo dando una risposta umanitaria a Lesbo, Samos, Leros, Kos, tutte le isole sulle quali avviene la maggior parte degli sbarchi – prosegue Morelli -. In un anno, dal 1 gennaio 2015 al 1 gennaio 2016 sono arrivati in Grecia 927.772 rifugiati. Uomini, donne e bambini bisognosi di tutto, da vestiti asciutti all’assistenza medica e psicologica. L’85 per cento del milione e più di profughi entrati in Europa ha attraversato il mar Egeo, sopravvivendo spesso a un naufragio, e con picchi di 8-9mila arrivi al giorno. Per capire però quanto potrebbe accadere nei prossime settimane e mesi, e quindi che tipo di situazione Atene e la l’Europa potrebbero trovarsi di fronte, basta un dato; in tutto il mese di gennaio del 2015 ci furono in Grecia 1.694 sbarchi, contro i 60.502 registrati a gennaio di quest’anno.

Un’impennata conseguenza del progressivo peggioramento della situazione in Siria, compresa la conquista di nuove parti di territorio da parte di Daesh. «Chi arriva oggi in Europa è ciò che resta della classe media siriana, spinta dalla disperazione dopo aver perso le speranze di poter tornare nelle proprie case. Nei campi profughi restano solo i poveri», spiega ancora Alessandra Morelli che insieme alla responsabile relazioni esterne dell’Unhcr in Grecia Carlotta Wolf monitora continuamente l’evolversi della situazione. Dietro quella che si annuncia come una crisi peggiore di quella vissuta l’anno scorso c’è anche il mancato processo di pace di Ginevra, fallito prima ancora di nascere, insieme a una crisi libica ancora senza sbocco.

Una realtà che sia il governo greco che l’Unhcr conoscono bene. E per affrontare la quale è già cominciata una corsa contro il tempo per reperire strutture in grado di accogliere una nuova ondata di migranti.

Da settimane il ministro per l’Immigrazione Mouzalas, un medico con un trascorso di anni con «Medicin du monde», sta trattando con i sindaci dei comuni ellenici alla ricerca di posti dove alloggiare i migranti. In collaborazione con l’Unhcr per ora ne sarebbero stati trovati 3mila a Idomeni, al confine con la Macedonia, 4mila nel Pireo, altri 6mila vicino Salonicco, a Sindos e infine tra i 1.500 e i 4mila nell’Attika, spesso scontrandosi con le resistenze delle popolazioni locali. Numeri che però sembrano la classica goccia in mezzo al mare di posti letto che servirebbero. Per questo è stato deciso di allestire una task force della quale fanno parte oltre ai ministeri dell’Immigrazione, della Difesa e degli Interni, anche rappresentanti della Guardia costiera, dell’Unhcr e delle principali Ong presenti in Grecia. E come avviene anche in Italia, si cercano strutture, come ex caserme dismesse, dove allestire punti di accoglienza con la possibilità per i profughi di ricevere anche un’adeguata assistenza medica. «La situazione è straordinaria e richiede una risposta straordinaria, ma anche improntata a una forte solidarietà verso persone che, non dimentichiamolo, stanno fuggendo da una guerra civile che dura ormai da anni», ricorda Morelli.

Nel frattempo il governo greco prova anche a mettersi in paro con i «compiti» che Bruxelles gli chiede da mesi. Dei cinque hotspots previsti a Lesbo, Leros, Kos, Samos e Kios solo uno, quello di Lesbo è praticamente pronto. Per questo il 31 gennaio scorso è stato affidato al ministero della Difesa il compito di portare a termine entro la metà di febbraio, massimo per i primi di marzo, la realizzazione degli altri. Non senza problemi. Come a Kos dove l’annuncio dell’imminente apertura di un hotspot ha provocato l’insurrezione degli abitanti. Con un’ulteriore accelerazione sulle procedure di identificazione dei migranti, anche se le statistiche dicono che già oggi il 78 per cento d quanti arrivano i Grecia è schedato e negli archivi sono raccolte le sue impronte digitali.

L’assurdo di questa situazione è che comunque la si metta, non è previsto un lieto fine. Se la Grecia non manterrà fede ai suoi impegni verrà tagliata fuori dall’area Schengen con tutte le conseguenze, politiche ma anche economiche che questa decisione comporterà. Se invece si metterà in regola, ‘farà i compiti’ come chiede l’Unione europea, a pagare saranno le decine di migliaia di persone in fuga da un conflitto che non sembra avere soluzione. «Per questo è urgente creare le condizioni per permettere a chi scappa di arrivare in Europa attraverso vie legali e sicure», insiste Alessandra Morelli. «Reinsediamenti e ricongiungimenti legali sono l’unica possibilità per strappare questa gente ai trafficanti. Altrimenti non ci resta che continuare a contare i morti».