Nell’Europa del 2015, la dignità di un bambino di otto anni vale 81 euro. È questa la differenza fra lo stipendio dell’ivoriano Alí Ouattara, 42 anni, residente legalmente alle Canarie dal 2007, e il limite minimo richiesto dalla legge spagnola perché suo figlio Adou, di otto anni, potesse ricongiungersi legalmente con il resto della sua famiglia.
La storia è diventata di pubblico dominio giovedì 7 maggio, quando i giornali di tutto il mondo hanno pubblicato una foto molto emblematica: la radiografia effettuata dallo scanner di un posto di frontiera di Ceuta (l’enclave spagnola in terra africana) di una valigia con un bambino rannicchiato dentro.

Ma dietro questa foto iconica si nasconde una famiglia disperata. È la storia di un professore di francese che nel 2006 lascia su un barcone la Costa d’Avorio, allora sull’orlo di un colpo di stato e di una crisi politica gravissima, in cerca di una nuova vita in Spagna, alle isole Canarie. Benché non riesca a ottenere lo status di rifugiato, in poco tempo Ouattara riesce a trovare lavoro in una lavanderia con uno stipendio che oggi in Spagna si può considerare degno: circa 1250 euro, il doppio del salario minimo legale.

La legge spagnola permette il ricongiungimento familiare se si possiedono alcuni requisiti, il più importante dei quali è quello economico: 799 per il primo membro della famiglia, 266 per ciascun altro membro. Risultato: Alí riesce a portare in Spagna la moglie Lucie e una figlia, mentre Adou deve rimanere in Costa d’Avorio con dei parenti. Per lui ci vorrebbe una busta paga di 1331 euro. E la burocrazia dell’immigrazione su queste cose è sempre implacabile.

Oggi Alí è in carcere, assieme alla donna marocchina che portava la valigia dentro cui era nascosto il piccolo Adou. Lo difende l’avvocato d’ufficio Clemente Cerdeira. Di dichiarata fede socialista – è stato capo di gabinetto del delegato del governo spagnolo durante il governo Zapatero, Cerdeira – che esercita la professione di avvocato da 32 anni – è anche console onorario italiano per tutti i territori spagnoli non peninsulari. «Lo fu anche mio padre», dice orgoglioso al manifesto.

Clemente Cerdeira
L’avvocato Clemente Cerdeira

Quando ha visto per l’ultima volta Alí?

L’ho visto mercoledì della settimana scorsa e di nuovo questo giovedì. E mi ha chiesto non solo di difenderlo, ma di fargli da portavoce per spiegare la sua storia all’opinione pubblica. Giovedì hanno prelevato a lui e alla madre i campioni di Dna per verificarne la paternità.

Come è finito Adou in quella maledetta valigia?

La storia è quella che sto raccontando in questi giorni ai media. Alí e sua moglie Lucie stanno lottando da tre anni per farsi raggiungere dal figlio a Fuerteventura, dove vivono stabilmente. Alí ha un lavoro fisso e regolare. Sono preoccupati per la salute del figlio – che ha la malaria – e sanno che soffre senza di loro. E hanno cercato in tutti i modi di farlo arrivare in Spagna in maniera legale. Ma il governo gliel’ha negato due volte. L’ultimo rifiuto è del 2014. La coppia ha anche un terzo figlio, già maggiorenne, che vive in Costa D’Avorio. Non è chiaro esattamente chi prende la decisione, se il figlio grande o il padre, ma la questione è che pagando 5000 euro dei soldi che sono riusciti a risparmiare in questi anni, viene loro garantito che il figlio arriverà in Spagna. Secondo quanto ha raccontato alla giudice, è stato lo stesso padre a consegnarlo qualche tempo prima a un senegalese che gli avrebbe garantito che non ci sarebbero stati problemi.

Questo è quello che ha raccontato al giudice?

Sì. Non è stato chiarito come esattamente sia avvenuto il viaggio, ma fatto sta che alla fine la valigia viene consegnata da qualcuno del gruppo di trafficanti a questa ragazza marocchina che, con il suo atteggiamento sospetto alla frontiera, viene fermata e viene costretta a far passare la valigia sotto lo scanner. Quando poi il padre, avvertito dell’arrivo, va a cercarlo alla frontiera, viene arrestato anche lui per traffico di persone. Articolo 318 del Codice Penale vigente, che prevede una pena fino a otto anni di reclusione.

Una pena molto grave!

Sì. Ma il punto importante è un altro. Questo reato sarà completamente depenalizzato con l’entrata in vigore il 1 luglio della riforma del Codice Penale promossa dal Partito Popolare. Una riforma che possiamo criticare da molti punti di vista. Ma che su questo introduce una novità importante. Se non stiamo parlando di veri e propri trafficanti, la pena massima arriva a un anno di prigione. E in casi umanitari, in cui rientrerebbe questo, la legge prevede che il reato non sia punibile.

Ha chiesto la scarcerazione di Ouattara?

Certo. Una ragione è questa: quando si arrivi all’eventuale processo, questo delitto non sarà più un reato. E l’altra è che una persona con un lavoro e dimora fissa, con una famiglia, e in queste circostanze- aver fatto di tutto per ricongiungersi con un altro figlio – non è certo il tipo di persona che si darebbe alla fuga per tornare in Costa d’Avorio. Lunedì è previsto che la giudice lo ascolti di nuovo.

Come sta il bambino?

È stato preso in carico dai servizi sociali di Ceuta. Sta bene e sarà scolarizzato. Ma non posso dirle cosa ha dichiarato alla giudice. Ho potuto parlare anche con la madre e le ho già dato indicazioni sul procedimento per poter chiedere che le venga consegnato il figlio al più presto.

Questo tipo di situazioni sono frequenti?

Sono molto frequenti. La differenza è che stavolta c’è un’immagine che visualizza il dramma. Io stesso ho visto bambini nascosti nei cruscotti delle macchine, sotto i camion, nei motori delle barche. Nel caso dei tentativi di ricongiungimento familiare finiti con una condanna penale tipo quella per cui è stato incarcerato il mio cliente. Ma il dramma vero non è tanto la condanna, che di solito non è alta. Il fatto è che il condannato perde il diritto di residenza, e con lui tutta la famiglia. Per questo è molto importante che la riforma del Codice preveda che i giudici debbano rivedere tutte le condanne comminate finora e adattarle alla nuova norma.