La sera del 21 luglio 2001, al termine delle manifestazioni contro il G8 di Genova, la polizia fece irruzione nella scuola Diaz, sede del Genoa Social Forum. Il blitz terminò con oltre 60 feriti e 93 arresti. Enrico Zucca è il pm che ha condotto le inchieste e i processi sui fatti di quel luglio incandescente. Ed è il magistrato che denunciò la difficoltà di individuare i diretti responsabili e la mancata cooperazione da parte della polizia.

Dottor Zucca, quindici anni dopo cosa è stata la Diaz?

La Diaz è stato un orrore, che oggi viene ricordato sinistramente dalle immagini che arrivano dalla Turchia. Quella palestra con i corpi nudi ammassati degli arrestati nelle purghe del dopo golpe non può che far tornare alla mente le immagini della palestra della scuola di Genova. L’accostamento potrebbe sembrare una provocazione, ma così non è: l’indignazione deve essere eguale.

La Corte di Strasburgo, in riferimento ai fatti della Diaz, nel 2015 ha condannato l’Italia per l’assenza di una legge adeguata per punire il reato di tortura. Un traguardo che non è stato ancora raggiunto.

Questo anniversario viene, infatti, celebrato dalla sospensione del faticoso dibattito parlamentare sull’introduzione del reato di tortura. «C’è il terrorismo», dice quella parte politica che ha promosso questa battuta d’arresto. Invece, proprio nella lotta al terrorismo, che minaccia le nostre vite, non dobbiamo abbandonare i nostri principi di civiltà. È inspiegabile come un Parlamento non riesca a coagulare una maggioranza traversale su questo argomento. Questa sospensione segna con pervicacia la messa in discussione di quanto ha stabilito nel 2015 dalla Corte europea dei diritti umani, che oltre ad aver qualificato quell’irruzione delle forze dell’ordine come «tortura», ha condannato l’Italia non solo per il pestaggio subito da uno dei manifestanti (Arnaldo Cestaro, l’autore del ricorso) ma anche perché, appunto, non ha una legislazione adeguata.

Pensa sia solo una questione di strumenti legislativi?

In Turchia esiste il reato di tortura e i numeri identificativi per i poliziotti, ciò dimostra che il problema non è solo questo. Il problema è se crediamo ancora nei valori della democrazia occidentale. E se vogliamo metterli in pratica. Non è solo una questione di strumenti.