Ospite fisso ad Hope è il banchetto delle Eff, Electronic Frontier Foundation, organizzazione internazionale no profit di avvocati, rivolta alla tutela dei diritti civili digitali e della libertà di parola.
Nel ’94 la Eff ha difeso Emmanuel Goldstein, accusato di aver violato il Digital Millenium Copyright Act, per aver pubblicato e diffuso il codice DeCSS necessario a leggere i DVD usando il sistema Gnu/Linux. In quella occasione la Mpaa («Motion Picture Association of America») perse la causa grazie alla testimonianza volontaria di un professore di informatica che, traducendo in inglese il codice scritto in linguaggio Perl, dimostrò come vietarne la pubblicazione avrebbe significato limitare la libertà di parola. Esistendo dal 1990, la Eff ha visto nel corso degli anni, crescere e ridurre il livello di libertà che difende.
«Io in realtà sono ottimista – dice Kurt Opsahl, vice direttore esecutivo e consigliere generale per la Eff –. Attraverso internet abbiamo un’enorme possibilità di migliorare la società in cui viviamo, ascoltare voci diverse, aprirci ad un dibattito pubblico; certo ci sono sfide su questa strada ma possono essere affrontate con successo, ed utilizzare la tecnologia a nostra disposizione per produrre una società migliore».

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L’esempio di persone come Snowden, Assange, Hammond, Manning, ha portato più consapevolezza diffusa o più timore della tecnologia?

Certamente la diffusione delle notizie riguardanti il programma di sorveglianza di massa ha portato questo tema all’attenzione di un pubblico più vasto ed ha innalzato il grado di consapevolezza delle persone riguardante le proprie attività online. Alcuni studi però hanno mostrato come questa consapevolezza porti anche a non utilizzare più degli strumenti e questo è un vero pericolo e un peccato in quanto l’auto censura è uno degli aspetti che derivano dal vivere in una società` dove si opera un controllo di massa.

La Eff ha difeso Emmanuel Goldstein negli anni Novanta, come sono cambiate da allora le cose per le aziende e il loro rapporto con gli hacker?

Alcune aziende si son rese conto che è produttivo avere all’interno degli hacker, delle persone in grado di capire di cosa è composto un computer, cosa sia la sicurezza, di guardare dentro una macchina e capire come funziona, le falle presenti, le vulnerabilità. Questo tipo di società hanno un rapporto migliore e costruttivo con la comunità hacker, ma non è un atteggiamento universale. Molte altre aziende sono ancora ancorate a un atteggiamento ostile. Il fatto è che l’intero mondo è più sicuro se c’è qualcuno, un ricercatore, in grado di testare le vulnerabilità di un sistema: è un cerchio. Ma se tu spezzi questo cerchio, facendo causa ai ricercatori per quello che dicono o fanno, cercando di reprimere le loro attività o la divulgazione di queste attività, in realtà stai collaborando a creare un mondo meno sicuro quindi potenzialmente più vulnerabile.

Non solo le aziende ma anche i governi negli ultimi anni si stanno occupando di sicurezza informatica, è proprio perchè hanno a cuore la non vulnerabilità dei loro cittadini?

Abbiamo visto delle cose interessanti nel 2014, quando abbiamo intentato una causa in base al Freedom of Information Act per ottenere l’accesso al Vep, il Vulnerability Equities Process, ovvero il criterio che si utilizza per decidere se divulgare delle informazioni sulle vulnerabilità di sicurezza o se invece trattenerle per i propri scopi, come l’applicazione della legge, le operazioni di intelligence, e gli utilizzi di attacco. In quel frangente è stato interessante vedere se il governo fosse più interessato a risolvere i problemi di vulnerabilità o a dedicarsi ad operazioni di intelligence e di attacco. Non mi sembrava sapessero cosa stessero facendo. Affermano di avere a cuore la sicurezza dei cittadini, i realtà non è così.
In risposta alla causa legale della Eff, nel gennaio 2016 il governo americano ha rilasciato il Vep al pubblico.